I numeri verdi delle aziende aiutano fidelizzazione e vendite

Come fare per stabilire un rapporto di fiducia e di vicinanza con i propri clienti? Una delle risposte a questa domanda è rappresentata dal numero verde aziendale, uno strumento sempre più diffuso nel mondo del business che consente alle aziende di stabilire un contatto diretto e immediato con i propri clienti, offrendo loro un servizio personalizzato, professionale e di alta qualità. Conquistare e fidelizzare i propri clienti è un obiettivo cruciale per garantire il successo e la crescita di un’azienda. Ecco perché il numero verde è così importante nel rapporto con i clienti, contribuendo a migliorare la fidelizzazione e le vendite dell’azienda.

Che cos’è il numero verde?

Il numero verde aziendale è uno strumento che permette alle aziende di offrire ai propri clienti un modo semplice e gratuito per contattarle. Si tratta di un numero di telefono speciale, solitamente contrassegnato dal prefisso ‘800’ o ‘803’, a seconda delle caratteristiche del servizio, che i clienti possono chiamare senza pagare alcuna tariffa, indipendentemente dalla loro posizione geografica.
Attraverso il numero verde l’azienda può rispondere alle domande e ai bisogni dei propri clienti in modo diretto e immediato, costruendo così una relazione di fiducia reciproca. Inoltre, grazie al numero verde, l’azienda può offrire servizi di assistenza pre e post-vendita, come ad esempio la sostituzione di un prodotto difettoso, consolidando ulteriormente la relazione con il cliente.

Monitorare più efficientemente il servizio clienti

Se il servizio viene gestito in maniera costante e adeguata, l’utilizzo di un numero verde 800 si traduce in un importante aumento delle vendite: quando il cliente ha un’esperienza positiva è più probabile che acquisti nuovi prodotti o servizi dell’azienda. Ma l’acquisto di un numero verde comporta ulteriori vantaggi, tra cui maggiori accessibilità e disponibilità, e possibilità di personalizzazione del servizio.
L’attivazione di un numero verde consente inoltre di monitorare più efficientemente il servizio clienti. L’azienda può raccogliere informazioni sulle esigenze della clientela di riferimento, sui suoi bisogni e sulle sue aspettative, adeguando di conseguenza i servizi offerti.

Come scegliere un buon numero verde

Prima di acquistare un numero verde aziendale, occorre considerare alcuni fattori importanti per scegliere la migliore opzione disponibile. L’azienda ha la possibilità di affidarsi a un provider telefonico oppure a un provider di servizi cloud. Innanzitutto verificare la professionalità del provider online, cercando feedback e recensioni degli utenti. E assicurarsi che sia in grado di offrire una soluzione flessibile, in modo da adattarsi alle esigenze aziendali in continua evoluzione, verificando le tariffe. Ovvero, riferisce Adnkronos, accertandosi di non pagare più del dovuto per il servizio. È importante anche controllare quali funzionalità sono incluse nella soluzione offerta, come trasferimento o registrazione delle chiamate, o personalizzazione del messaggio di benvenuto.

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Gli italiani e la casa: una relazione affettiva stabile su cui investire

Per gli italiani la casa è da ascrivere al novero degli elementi che concorrono allo ‘stare bene’. Da sempre i nostri connazionali hanno avuto un rapporto ‘affettivo’ ed emotivo con la propria casa, vivendo per una vita nella stessa casa e spostandosi raramente dal quartiere. Un rapporto che con la pandemia è diventato ancora più intenso, complice l’incremento di attività, soprattutto professionali, che un tempo erano svolte principalmente fuori dalle mura domestiche. Infatti, dallo smart working al work out, spesso tali pratiche sono state mantenute anche dopo la fine del lockdown.

Investimenti per migliorare anche l’efficienza energetica

L’edizione 2022 dell’Osservatorio Eumetra Green Home Smart Home registra che ben più della metà delle famiglie intervistate dedica tempo e risorse per migliorare o abbellire la propria casa.
Quanto agli investimenti in efficienza energetica, in realtà riguardano solo una parte delle famiglie, che in taluni casi li adottano sinergicamente, con opere di isolamento termico, installazione di impianto fotovoltaico, installazione di una pompa di calore per il riscaldamento. Tuttavia, anche la sostituzione della vecchia caldaia con una recente è un passo in avanti importante per procedere verso un maggiore efficientamento. Ma il primo modo di risparmiare energia è quello di non sprecarla.

Nuovo impulso all’adozione di comportamenti green

Dai recenti fenomeni del caro energia e del caro bollette deriva un nuovo impulso all’adozione di comportamenti green, una sorta di ‘spinta gentile’ che è riuscita a ottenere risultati concreti, laddove nessuna manifestazione di adesione ideale alla causa della sostenibilità era riuscita prima a sortire un simile effetto. In linea generale, nel nostro Paese ci sono segmenti minoritari, intorno al 25%, che adottano comportamenti decisamente green, un 40% che è in una posizione intermedia, ovvero fa qualcosa in tal senso come, ad esempio, la raccolta differenziata o è attento a tenere il riscaldamento non troppo alto, mentre il restante fa poco o niente.

I rincari delle bollette favoriscono comportamenti virtuosi

Per la prima volta in sette anni, nel 2022 l’Osservatorio ha registrato alcuni cambiamenti significativi nei comportamenti delle persone in relazione ai consumi domestici nella direzione di un maggior risparmio energetico. Tra questi, un minor numero di cicli di lavatrici o lavastoviglie alla settimana, l’attenzione a impostare al minimo il termostato del riscaldamento, il semplice accorgimento di spegnere le luci una volta usciti da una stanza. Di fatto, i rincari delle bollette hanno favorito comportamenti virtuosi e una maggiore consapevolezza del consumo energetico, più di quanto abbiano fatto gli appelli e le adesioni al rispetto dell’ambiente.

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Customer experience: la velocità di risposta è la più apprezzata dai clienti

Sono diversi i motivi per cui un cliente decide di entrare in contatto con un’azienda, prima, durante o dopo un acquisto: per avere maggiori informazioni sul prodotto o il servizio a cui si è interessati, per richiedere dettagli su una spedizione qualora di tratti di un e-commerce, o anche per richiedere assistenza post-vendita. La relazione che si crea con il cliente tramite il contatto può influenzare in modo significativo il suo comportamento, sia presente sia futuro, quindi diventa strategico per le aziende comprendere quali siano gli aspetti più importanti di cui tenere conto. E secondo un sondaggio svolto da Esendex, realtà che offre soluzioni per la comunicazione mobile in ambito business, è la velocità di risposta l’aspetto più apprezzato dal campione di intervistati (51%).

Offrire diverse modalità di contatto

Alla velocità di risposta segue la disponibilità mostrata dall’operatore nell’aiutare realmente il cliente (48%), quindi, la multicanalità, ovvero la possibilità di scegliere tra più canali di comunicazione (42%). Se i primi due aspetti sono strettamente legati agli operatori e ai training che hanno seguito, la decisione di offrire diverse modalità di contatto invece è più semplice da adottare, soprattutto tenendo conto che il touch point privilegiato oggi è lo smartphone.

La multicanalità gioca un ruolo determinante

A questi tre primi aspetti indicati come più importanti seguono la capacità di risolvere rapidamente la questione legata alla posta in caso di resi o lamentele, il numero di ore durante il quale è disponibile il supporto, la possibilità di potere gestire in autonomia determinate operazioni, e l’interesse dimostrato da parte dell’operatore di conoscere meglio il proprio interlocutore.
“Dal nostro sondaggio emerge come la multicanalità, insieme alla velocità di risposta e alla disponibilità, giochino un ruolo determinante per la customer experience”, ha commentato Carmine Scandale, Head of Sales di Esendex Italia.

Snellire i processi di customer service

“Questo non stupisce – ha aggiunto Carmine Scandale – se si pensa che oggi siamo abituati a poter contare su diverse possibilità di comunicazione anche nelle relazioni tra privati, tenuto conto che buona parte delle conversazioni passano dallo smartphone. La nostra piattaforma multicanale ‘Studio’ permette proprio di creare conversazioni più interattive con i clienti utilizzando più canali, tra cui SMS e WhatsApp, e consente di snellire i processi di customer service, poiché permette agli operatori di gestire simultaneamente anche più richieste in modo molto semplice ed efficiente, migliorando di conseguenza anche i tempi di risposta e la disponibilità verso il cliente”.

Crisi bancaria: quanto si fidano gli italiani nelle banche?

Quanto si fidano gli italiani delle banche nel 2023? Secondo una rilevazione Ipsos, attualmente la fiducia degli italiani nelle banche si ferma poco sotto il 30%, con il 61% dell’opinione pubblica che mostra netti segni di dissenso. Bassa è anche la valutazione della Banca Centrale Europea del ‘dopo Mario Draghi’, con voti positivi espressi da appena un terzo dell’opinione pubblica. Percentuali analoghe se le aggiudica anche la Borsa, con un quadro di fiducia che si ferma appena sopra al 30%.
Dopo la pandemia da Covid-19, la guerra in Ucraina, il caro energia, l’inflazione, la crescita del costo del denaro e la lievitazione dei mutui, ora arriva quindi l’ennesima crisi che coinvolge le banche.

Dal crollo della Silicon Valley Bank al caso Credit Suisse

I timori di un’altra crisi bancaria sono riemersi nelle scorse settimane dopo le notizie del crollo della Silicon Valley Bank, il secondo più grande fallimento bancario nella storia degli Stati Uniti, e la vicenda relativa all’istituto di credito Credit Suisse, acquisita poi da UBS, la più grande Banca Svizzera. Ma la disillusione nelle banche, dopo il grande crollo degli anni 2007-2008, non si è mai ripresa fino in fondo. La nuova crisi riapre vecchie ferite, anche perché l’opinione pubblica italiana vive da anni un deficit di fiducia complessivo: oltre due terzi dei cittadini affermano di non fidarsi né delle imprese né delle banche, ritenendo che entrambe siano troppo disposte a scaricare costi e incapacità sui consumatori.

La delusione verso gli istituti di credito continua a crescere

Il dato di delusione, in crescita nel corso degli ultimi anni e passato dal 65% di fine 2020 al 69% di oggi, è principalmente evidente tra le donne (74%), i ceti popolari (80%) e i residenti nelle isole e nel centro Italia (75%). Accanto a questo sentimento di sfiducia si associa la convinzione che i soggetti dotati di maggiori risorse economiche siano completamente scollegati dal resto della realtà sociale italiana. Per il 75% dell’opinione pubblica, infatti, i cosiddetti ‘esperti’ non comprendono le esigenze delle persone comuni. Un sentimento di distacco che prolifera soprattutto tra i ceti popolari (82%) e le donne (78%).

Troppe aspettative non soddisfatte

La delusione verso il mondo bancario è accentuata anche dal fatto che gli italiani vorrebbero trovare nella banca un soggetto su cui contare. Quasi il 40% vorrebbe che gli istituti di credito fossero maggiormente impegnati a generare tranquillità a chi affida loro i propri risparmi. Un sesto del Paese, inoltre, ritiene che le banche debbano essere parte integrante della comunità ed essere impegnate nella crescita dei contesti locali e nel rafforzamento delle microeconomie. Quasi un quarto dell’opinione pubblica poi ritiene che gli istituti di credito non debbano pensare solo a sé stessi, ma essere protagonisti della crescita della collettività, sostenendo famiglie e imprese, e creando opportunità per i giovani e le giovani famiglie.

Advertising: Italia poco attenta alle Attention Metrics

Ogni giorno l’utente è esposto a 4.000 messaggi pubblicitari e passa 3 ore e 32 minuti online (dati: IAB UK). In risposta a questa situazione, nell’industria Media sta emergendo il fenomeno legato alle Attention Metrics, o Metriche dell’Attenzione. Tali metriche possono essere definite come il grado con cui gli utenti esposti alla pubblicità siano focalizzati su di essa, in termini di tempo e intensità della concentrazione. Ma il 73% degli investitori pubblicitari italiani conosce poco le Attention Metrics, e il 10% non ne ha mai sentito parlare. Si tratta di alcune evidenze emerse dall’Osservatorio Internet Media della School of Management del Politecnico di Milano.

Ottimizzare gli investimenti in fase di pianificazione Media

L’interesse e il potenziale percepiti verso le Attention Metrics fanno riferimento principalmente all’attività di ottimizzazione degli investimenti in fase di pianificazione Media. Le metriche di attenzione permetterebbero infatti di riconoscere al meglio il valore delle impression che si acquistano. Ma anche le modalità di rilevazione di queste metriche sono poco note: solo il 10% degli investitori le conosce in modo approfondito, il 69% ne ha una conoscenza limitata e il 21% non conosce alcuna metodologia. Elemento determinante per la diffusione di queste metriche sarà la capacità di misurare la correlazione tra maggiore attenzione pubblicitaria e risultati di business.

Le soluzioni per l’addressability AI-based

L’Internet advertising continua ad acquisire rilevanza nel panorama pubblicitario italiano, raccogliendo una quota significativa degli investimenti, anche grazie all’addressability, basata sull’ampio utilizzo dei cookie. Ma le nuove linee guida del Garante della Privacy, e l’autoregolamentazione attuate dalle grandi società tecnologiche, hanno limitato l’utilizzo dei cookie perché impatta sulla privacy dell’utente. Nell’ultimo anno, infatti, gli editori hanno osservato una perdita rilevante delle informazioni in proprio possesso.
L’addressability pubblicitaria può avvenire però anche in funzione della pertinenza dell’ambiente in cui l’annuncio è inserito (contextual advertising). Inoltre, il machine learning consente agli inserzionisti di allontanarsi da keyword e whitelist per affidarsi a sistemi basati sull’AI, le cosiddette soluzioni per l’addressability AI-based.

L’impatto del contesto “privacy by default”

La measurability è la seconda area che subisce un forte impatto dal contesto ‘privacy by default’Già da tempo la degradazione dei ‘segnali’ che vengono utilizzati per la valutazione delle attività di advertising è oggetto di attenzione e dibattito, anche in Italia. Le conseguenze sono però differenziate a seconda degli strumenti di misurazione utilizzati.
Gli strumenti più diffusi in Italia sono i Digital Campaign delivery measurement, adottati dal 67% degli advertiser, seguiti dai tool di Offline Campaign delivery measurement (28%) e Brand tracking/Pre-post test (27%). Più limitato, l’utilizzo di strumenti avanzati, come i Marketing Mix Model (21%) o i modelli di attribuzione (7%). Nel prossimo futuro, tuttavia, si prevede un ricorso più forte agli strumenti di misurazione basati su approcci di Incrementality e Modelling, impattati in modo meno severo dall’evoluzione del contesto.

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Settore alimentare: performance positive e traino per export nazionale

Dall’anno della pandemia in poi la produzione del comparto alimentare è cresciuta in maniera decisa, e piuttosto costante, fino alla prima parte del 2022, anno nel quale si è registrata una crescita dell’1,2% rispetto all’anno precedente, superiore a quella dell’industria nel suo complesso (+0,5%).
Negli anni più recenti, infatti, mentre la produzione industriale è rimasta grossomodo stabile rispetto ai livelli del 2017, quella delle industrie alimentari, bevande e tabacco è cresciuta di oltre 10 punti percentuali. È quanto emerge dai dati dal report effettuato dall’Osservatorio agroalimentare, frutto della collaborazione tra la Fondazione Giampiero Sambucini e la Fondazione Edison.

Export: nel 2022 +19,9% per 625 miliardi di euro

Secondo i dati dell’Osservatorio risulta notevole anche il contributo del settore agroalimentare alle esportazioni italiane, che nel 2022 sono cresciute del 19,9% rispetto al 2021, raggiungendo 625 miliardi di euro. Per il settore le esportazioni hanno fatto segnare 60,7 miliardi di euro, pari al 10% dell’export complessivo. Nello specifico, il valore delle esportazioni della sola industria alimentare, bevande e tabacco è stato pari a 52,3 miliardi, e quelle dei prodotti agricoli a 8,4 miliardi. Rispetto al 1991, anno in cui si registravano 7,8 miliardi di euro a valori correnti, l’export agroalimentare italiano è cresciuto di oltre 7 volte.

I “magnifici 7” del Made in Italy 

Un ruolo di successo, in questo percorso di crescita, è quello svolto dai cosiddetti ‘magnifici 7’, ovvero le sette categorie di prodotti che da sole nel 2021 hanno raggiunto un valore di export pari a 31,3 miliardi, quasi il 60% dell’agro-alimentare italiano nel suo complesso (52,9 miliardi). In particolare, si tratta di ortaggi, frutta e loro preparazioni (9,6 miliardi), vini (7,2 miliardi), pasta e riso (3,7 miliardi), formaggi e latticini (3,7 miliardi), prodotti da forno (2,9 miliardi), conserve animali (2,1 miliardi), cioccolata e altre preparazioni con cacao (2,1 miliardi).

“Prodotti di altissima qualità apprezzati dai consumatori di tutto il mondo”

Anche nel corso del 2022, riporta Italpress, i ‘magnifici 7’ continuano a trainare l’export del settore agroalimentare, e in base agli ultimi dati disponibili, hanno raggiunto 34,4 miliardi di euro.
“I magnifici 7 – ha dichiarato Stefano Mantegazza, vicesegretario della Fondazione Sambucini – sono l’avanguardia di una articolata filiera che poggia sul lavoro di oltre 1,4 milioni di persone, e che partendo da autentiche unicità di nicchia, coinvolge territori altamente specializzati e arriva a esprimere una ricca varietà di prodotti di altissima qualità, apprezzati dai consumatori di tutto il mondo”.

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Bonus Patente: le novità del 2023

Il Bonus Patente nasce con il proposito di incentivare i potenziali giovani beneficiari a cercare un’opportunità professionale nel settore dei trasporti. Il Bonus Patente rientra infatti nel Programma patenti giovani autisti per l’autotrasporto gestito dal MIT. Per il programma sono stati stanziati circa 3,7 milioni di euro, da utilizzare nell’arco del triennio 2023-2026. E già dal 6 febbraio scorso è stata attivata la procedura di richiesta per le autoscuole, con la possibilità, per i beneficiari, di usufruirne dal 13 febbraio. Ma il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ha comunicato che i fondi per il 2023 destinati all’agevolazione sono terminati.

A chi è destinato 

Nello specifico, il bonus si sostanzia in un rimborso delle spese sostenute per ottenere le patenti di tipo C (C, C1, CE, C1E) e Patente D (D, D1, DE, D1E) e la Carta di Qualificazione del Conducente (CQC), utili per la guida di mezzi pesanti. La misura è rivolta a tutti i giovani under 35, maggiorenni, anche percettori di Reddito di Cittadinanza e NASpI, che vogliono lavorare nel settore degli autotrasporti e hanno sostenuto le spese per il conseguimento della patente C e la Carta di Qualificazione del Conducente (CQC).

Come viene erogato?

Il Bonus viene erogato sotto forma di voucher, valido come rimborso delle spese sostenute per il conseguimento della patente C e della CQC, fino a un massimo di 2500 euro. Il rimborso, tuttavia, non copre completamente le spese, ma solo l’80% di quelle sostenute. Affinché sia valido, è importante che il voucher venga attivato entro 60 giorni dalla sua emissione e venga utilizzato una sola volta.
Qualora, tuttavia, il Bonus dovesse essere annullato per scadenza dei termini previsti, è possibile presentare una nuova richiesta.

Come presentare la richiesta

Il Bonus si ottiene mediante presentazione di un’apposita domanda da trasmettere online al MIT attraverso la piattaforma dedicata. Per accedere, tuttavia, è necessario essere in possesso di SPID, Cie o Cns utili ai fini della registrazione. Per la registrazione verrà richiesto l’inserimento di una serie di dati, quali partita IVA, codice ATECO, denominazione dell’attività, luoghi di lavoro, tipologia di servizi offerti, informazioni per definizione dell’attività, dichiarazione attestante che il buono patente verrà usato per la patente. A seguito del completamento della procedura, il buono verrà rilasciato al beneficiario che potrà recuperarlo tramite la piattaforma, o presso l’autoscuola presso la quale conseguirà la patente. Come rilevato in precedenza, per quest’anno i fondi sono esauriti, ma sarà possibile usufruire di nuovo del Bonus Patente nel 2024 e negli successivi altri due anni.

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Esperimento in Gran Bretagna: la settimana lavorativa di 4 giorni funziona!

Più impegno, più produttività, più salute: ecco, in estrema sintesi, il risultato dell’esperimento inglese di adottare la settimana lavorativa corta. Quello britannico rappresenta il più grande test mai compiuto in merito a livello mondiale. L’esperimento ha riguardato 61 aziende inglesi che operano in settori molto diversi e che per sei mesi dal giugno 2021 si sono impegnate a ridurre del 20% l’orario di lavoro per tutto il personale, garantendo al tempo stesso parità di salario per i propri dipendenti. Cosa è emerso? Si è scoperto, riferisce Adnkronos, che almeno 56 delle 61 aziende che hanno partecipato al programma hanno dichiarato di voler continuare con la settimana lavorativa di quattro giorni. Di queste 18 aziende hanno confermato che questa impostazione è diventata un cambiamento permanente. Solo tre aziende hanno comunicato di aver sospeso per il momento la settimana lavorativa di quattro giorni nella loro organizzazione. La ricerca è stata condotta dagli studiosi dell’Università di Cambridge e del Boston College americano ed è stata coordinata dall’organizzazione no profit 4 Day Week Global, in collaborazione con il think tank Autonomy e il gruppo di campagna 4 Day Week Campaign.

Molto meno stress

Tra i risultati più sorprendenti emersi dallo studio spicca il netto calo di stress e malattia tra i circa 2.900 dipendenti che hanno sperimentato una settimana lavorativa più breve. Il 39% dei dipendenti ha infatti affermato di essere meno stressato rispetto all’inizio del processo. Interessante notare che il numero di giorni di malattia presi durante il test è diminuito di circa due terzi.
Ma c’è di più. Il report rivela che i dipendenti hanno mostrato molta più disponibilità a conservare il proprio posto, nonostante l’esperimento sia stato condotto proprio nel periodo delle “grandi dimissioni” in cui – in un ripensamento post-Covid – moltissimi lavoratori hanno abbandonato le proprie occupazioni in cerca di maggiore flessibilità. 

Dimissioni in calo

Rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, si è registrato un calo del 57% delle uscite del personale delle società che hanno partecipato al programma. Ma a calare sono stati anche i livelli di ansia, le difficoltà a dormire e i burnout mentre un numero crescente di dipendenti ha ammesso una maggiore facilità nel cercare un equilibrio con le proprie responsabilità familiari. La maggior parte delle aziende ha scelto di concedere a tutto il proprio personale il venerdì libero, mentre alcuni hanno affermato di potersi prendere il lunedì o il venerdì, mentre altri hanno optato per un giorno libero comune per il personale. Buone notizie anche sul fronte economico, visto che nel periodo del test i fatturati delle aziende coinvolte sono aumentati dell’1,4%, dato che balza a +35% rispetto allo stesso periodo del 2021.

Istat: nel 2022 crescono su base annua le vendite al dettaglio

Nel 2022 le vendite al dettaglio complessivamente crescono in valore del +4,6% rispetto all’anno precedente in entrambi i settori merceologici dei beni alimentari e non alimentari, mentre i volumi diminuiscono dello 0,8% a causa del calo dei beni alimentari (-4,2%). Un calo non compensato dall’aumento dei prodotti non alimentari (+1,9%).
“Tutti i trimestri dello scorso anno hanno visto incrementi congiunturali nel valore complessivo delle vendite, associati a una diminuzione dei relativi volumi – commenta l’Istat -. Nella media del 2022 la crescita in valore delle vendite ha caratterizzato tutte le forme distributive, seppure in misura molto differenziata, con gli aumenti maggiori registrati per la grande distribuzione specializzata e per i discount”.

A dicembre 2022 +3,4% in valore e -4,4% in volume

A dicembre 2022 su base annua l’Istat segnala un aumento del 3,4% in valore per le vendite al dettaglio, che però registrano un calo in volume pari al -4,4%. Un analogo andamento caratterizza sia le vendite dei beni alimentari (+5,8% in valore e -6,6% in volume) sia le vendite dei beni non alimentari, che segnano rispettivamente +1,7% in valore e -3,1% in volume. A dicembre 2022 l’Istat stima per le vendite al dettaglio un calo su base mensile del -0,2% in valore e del -0,7% in volume.
In particolare, le vendite dei beni alimentari registrano un lieve aumento in valore (+0,1%) ma diminuiscono in volume (-0,6%), mentre quelle dei beni non alimentari calano sia in valore sia in volume, rispettivamente del -0,4% e del -0,8%.

Quarto trimestre 2022: +0,4% in valore e -1,8% in volume

Nel quarto trimestre 2022, in termini congiunturali, le vendite al dettaglio crescono in valore del +0,4% e calano in volume del -1,8%. Le vendite dei beni alimentari sono in aumento in valore (+0,7%) e diminuiscono in volume (-2,6%) così come quelle dei beni non alimentari (+0,2% in valore e -1,2% in volume).

Grande distribuzione +6,5%, e-commerce +0,3%

Per quanto riguarda i beni non alimentari, si registrano variazioni tendenziali positive per tutti i gruppi di prodotti, a eccezione di Dotazioni per l’informatica, telecomunicazione e telefonia (-1,8%) e Prodotti farmaceutici (-2,7%). L’aumento maggiore riguarda i prodotti di profumeria e cura della persona (+8,4%). Inoltre, rispetto a dicembre 2021, il valore delle vendite al dettaglio è in crescita, seppure in maniera differenziata, per tutte le forme di vendita. La grande distribuzione segna un +6,5%, le imprese operanti su piccole superfici un +0,8%, le vendite al di fuori dei negozi un +1,2%, e il commercio elettronico registra un +0,3%.

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Cambiamento climatico, cosa ne pensano i cittadini del mondo? 

Cosa preoccupa oggi i cittadini del mondo? Per scoprirlo arriva l’ultima pubblicazione dell’Annual WIN Survey 2022, che fotografa l’immagine globale delle percezioni ed opinioni dei cittadini riguardo diversi temi di stretta attualità, compreso il cambiamento climatico.  BVA Doxa, parte dell’Associazione promotrice WIN International, è responsabile della raccolta e analisi dei dati sull’Italia.

Al primo posto delle preoccupazioni la situazione economica

Ai cittadini dei 36 paesi coinvolti nella ricerca è stato chiesto quale fosse la loro preoccupazione maggiore per il futuro: al primo posto troviamo la situazione economica personale (30%), seguita dalla situazione economica del proprio paese (23%).
Anche in Europa, la percentuale di coloro che sono preoccupati per la propria situazione economica e per quella del loro paese segue un andamento simile, con il 31% e il 19%  delle menzioni rispettivamente, un dato che invece in Italia ha un peso diverso: è la situazione economica del nostro paese a preoccupare di più gli Italiani (31%) mentre è al secondo posto tra le preoccupazioni più forti quella personale (23%). Tra le altre preoccupazioni dei cittadini italiani troviamo al terzo posto la guerra (18%), seguita dalla criminalità (10%) e dal prezzo del gas (7%).

Il riscaldamento climatico 

Se da un lato la maggior parte delle persone condivide l’opinione secondo cui il riscaldamento globale rappresenta una grave minaccia per l’umanità, è anche vero che a livello globale il consenso a riguardo sta diminuendo: nel 2022, l’83% dei cittadini a livello mondiale si dice molto o abbastanza preoccupato per la minaccia del riscaldamento globale, -3% rispetto al 2021 (86%) e -2% rispetto al 2020 (85%). Sono le donne il segmento della popolazione più preoccupato in questo senso (86%), mentre per quanto riguarda i singoli paesi, Stati Uniti e Polonia sembrano essere i due paesi con le percentuali più basse di cittadini che se ne preoccupano, con il 24% e il 21% delle persone rispettivamente che non ritengono il riscaldamento climatico un problema. In Italia, l’86% dei cittadini ritiene che il riscaldamento climatico sia un grave problema di cui occuparsi, un dato leggermente più alto rispetto alla media europea che si attesta all’82%: sono i paesi come la Francia, la Croazia, e la Slovenia che condividono con l’Italia le percentuali più alte di cittadini preoccupati.

Il ruolo dei Governi

La maggior parte dei cittadini intervistati ritiene che i governi del proprio paese non stiano prendendo i dovuti provvedimenti per far fronte ai problemi climatici (lo ritiene il 55% degli intervistati), anche questo un dato in crescita del +3% rispetto al 2021. A livello europeo, la fiducia nei governi dei propri paesi per quanto riguarda la capacità di far fronte al cambiamento climatico con le necessarie misure è condivisa dal 29% dei cittadini. Ci sono però significative differenze tra paesi: solo il 17% dei cittadini in Croazia e il 20% dei cittadini in Finlandia ritengono che i loro governi stiano facendo abbastanza, mentre ad essere più positivi a riguardo sono i cittadini in Spagna (33%), Italia (35%), Irlanda (36%) e Olanda con il 46%.

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