Esperimento in Gran Bretagna: la settimana lavorativa di 4 giorni funziona!

Più impegno, più produttività, più salute: ecco, in estrema sintesi, il risultato dell’esperimento inglese di adottare la settimana lavorativa corta. Quello britannico rappresenta il più grande test mai compiuto in merito a livello mondiale. L’esperimento ha riguardato 61 aziende inglesi che operano in settori molto diversi e che per sei mesi dal giugno 2021 si sono impegnate a ridurre del 20% l’orario di lavoro per tutto il personale, garantendo al tempo stesso parità di salario per i propri dipendenti. Cosa è emerso? Si è scoperto, riferisce Adnkronos, che almeno 56 delle 61 aziende che hanno partecipato al programma hanno dichiarato di voler continuare con la settimana lavorativa di quattro giorni. Di queste 18 aziende hanno confermato che questa impostazione è diventata un cambiamento permanente. Solo tre aziende hanno comunicato di aver sospeso per il momento la settimana lavorativa di quattro giorni nella loro organizzazione. La ricerca è stata condotta dagli studiosi dell’Università di Cambridge e del Boston College americano ed è stata coordinata dall’organizzazione no profit 4 Day Week Global, in collaborazione con il think tank Autonomy e il gruppo di campagna 4 Day Week Campaign.

Molto meno stress

Tra i risultati più sorprendenti emersi dallo studio spicca il netto calo di stress e malattia tra i circa 2.900 dipendenti che hanno sperimentato una settimana lavorativa più breve. Il 39% dei dipendenti ha infatti affermato di essere meno stressato rispetto all’inizio del processo. Interessante notare che il numero di giorni di malattia presi durante il test è diminuito di circa due terzi.
Ma c’è di più. Il report rivela che i dipendenti hanno mostrato molta più disponibilità a conservare il proprio posto, nonostante l’esperimento sia stato condotto proprio nel periodo delle “grandi dimissioni” in cui – in un ripensamento post-Covid – moltissimi lavoratori hanno abbandonato le proprie occupazioni in cerca di maggiore flessibilità. 

Dimissioni in calo

Rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, si è registrato un calo del 57% delle uscite del personale delle società che hanno partecipato al programma. Ma a calare sono stati anche i livelli di ansia, le difficoltà a dormire e i burnout mentre un numero crescente di dipendenti ha ammesso una maggiore facilità nel cercare un equilibrio con le proprie responsabilità familiari. La maggior parte delle aziende ha scelto di concedere a tutto il proprio personale il venerdì libero, mentre alcuni hanno affermato di potersi prendere il lunedì o il venerdì, mentre altri hanno optato per un giorno libero comune per il personale. Buone notizie anche sul fronte economico, visto che nel periodo del test i fatturati delle aziende coinvolte sono aumentati dell’1,4%, dato che balza a +35% rispetto allo stesso periodo del 2021.

Istat: nel 2022 crescono su base annua le vendite al dettaglio

Nel 2022 le vendite al dettaglio complessivamente crescono in valore del +4,6% rispetto all’anno precedente in entrambi i settori merceologici dei beni alimentari e non alimentari, mentre i volumi diminuiscono dello 0,8% a causa del calo dei beni alimentari (-4,2%). Un calo non compensato dall’aumento dei prodotti non alimentari (+1,9%).
“Tutti i trimestri dello scorso anno hanno visto incrementi congiunturali nel valore complessivo delle vendite, associati a una diminuzione dei relativi volumi – commenta l’Istat -. Nella media del 2022 la crescita in valore delle vendite ha caratterizzato tutte le forme distributive, seppure in misura molto differenziata, con gli aumenti maggiori registrati per la grande distribuzione specializzata e per i discount”.

A dicembre 2022 +3,4% in valore e -4,4% in volume

A dicembre 2022 su base annua l’Istat segnala un aumento del 3,4% in valore per le vendite al dettaglio, che però registrano un calo in volume pari al -4,4%. Un analogo andamento caratterizza sia le vendite dei beni alimentari (+5,8% in valore e -6,6% in volume) sia le vendite dei beni non alimentari, che segnano rispettivamente +1,7% in valore e -3,1% in volume. A dicembre 2022 l’Istat stima per le vendite al dettaglio un calo su base mensile del -0,2% in valore e del -0,7% in volume.
In particolare, le vendite dei beni alimentari registrano un lieve aumento in valore (+0,1%) ma diminuiscono in volume (-0,6%), mentre quelle dei beni non alimentari calano sia in valore sia in volume, rispettivamente del -0,4% e del -0,8%.

Quarto trimestre 2022: +0,4% in valore e -1,8% in volume

Nel quarto trimestre 2022, in termini congiunturali, le vendite al dettaglio crescono in valore del +0,4% e calano in volume del -1,8%. Le vendite dei beni alimentari sono in aumento in valore (+0,7%) e diminuiscono in volume (-2,6%) così come quelle dei beni non alimentari (+0,2% in valore e -1,2% in volume).

Grande distribuzione +6,5%, e-commerce +0,3%

Per quanto riguarda i beni non alimentari, si registrano variazioni tendenziali positive per tutti i gruppi di prodotti, a eccezione di Dotazioni per l’informatica, telecomunicazione e telefonia (-1,8%) e Prodotti farmaceutici (-2,7%). L’aumento maggiore riguarda i prodotti di profumeria e cura della persona (+8,4%). Inoltre, rispetto a dicembre 2021, il valore delle vendite al dettaglio è in crescita, seppure in maniera differenziata, per tutte le forme di vendita. La grande distribuzione segna un +6,5%, le imprese operanti su piccole superfici un +0,8%, le vendite al di fuori dei negozi un +1,2%, e il commercio elettronico registra un +0,3%.

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Cambiamento climatico, cosa ne pensano i cittadini del mondo? 

Cosa preoccupa oggi i cittadini del mondo? Per scoprirlo arriva l’ultima pubblicazione dell’Annual WIN Survey 2022, che fotografa l’immagine globale delle percezioni ed opinioni dei cittadini riguardo diversi temi di stretta attualità, compreso il cambiamento climatico.  BVA Doxa, parte dell’Associazione promotrice WIN International, è responsabile della raccolta e analisi dei dati sull’Italia.

Al primo posto delle preoccupazioni la situazione economica

Ai cittadini dei 36 paesi coinvolti nella ricerca è stato chiesto quale fosse la loro preoccupazione maggiore per il futuro: al primo posto troviamo la situazione economica personale (30%), seguita dalla situazione economica del proprio paese (23%).
Anche in Europa, la percentuale di coloro che sono preoccupati per la propria situazione economica e per quella del loro paese segue un andamento simile, con il 31% e il 19%  delle menzioni rispettivamente, un dato che invece in Italia ha un peso diverso: è la situazione economica del nostro paese a preoccupare di più gli Italiani (31%) mentre è al secondo posto tra le preoccupazioni più forti quella personale (23%). Tra le altre preoccupazioni dei cittadini italiani troviamo al terzo posto la guerra (18%), seguita dalla criminalità (10%) e dal prezzo del gas (7%).

Il riscaldamento climatico 

Se da un lato la maggior parte delle persone condivide l’opinione secondo cui il riscaldamento globale rappresenta una grave minaccia per l’umanità, è anche vero che a livello globale il consenso a riguardo sta diminuendo: nel 2022, l’83% dei cittadini a livello mondiale si dice molto o abbastanza preoccupato per la minaccia del riscaldamento globale, -3% rispetto al 2021 (86%) e -2% rispetto al 2020 (85%). Sono le donne il segmento della popolazione più preoccupato in questo senso (86%), mentre per quanto riguarda i singoli paesi, Stati Uniti e Polonia sembrano essere i due paesi con le percentuali più basse di cittadini che se ne preoccupano, con il 24% e il 21% delle persone rispettivamente che non ritengono il riscaldamento climatico un problema. In Italia, l’86% dei cittadini ritiene che il riscaldamento climatico sia un grave problema di cui occuparsi, un dato leggermente più alto rispetto alla media europea che si attesta all’82%: sono i paesi come la Francia, la Croazia, e la Slovenia che condividono con l’Italia le percentuali più alte di cittadini preoccupati.

Il ruolo dei Governi

La maggior parte dei cittadini intervistati ritiene che i governi del proprio paese non stiano prendendo i dovuti provvedimenti per far fronte ai problemi climatici (lo ritiene il 55% degli intervistati), anche questo un dato in crescita del +3% rispetto al 2021. A livello europeo, la fiducia nei governi dei propri paesi per quanto riguarda la capacità di far fronte al cambiamento climatico con le necessarie misure è condivisa dal 29% dei cittadini. Ci sono però significative differenze tra paesi: solo il 17% dei cittadini in Croazia e il 20% dei cittadini in Finlandia ritengono che i loro governi stiano facendo abbastanza, mentre ad essere più positivi a riguardo sono i cittadini in Spagna (33%), Italia (35%), Irlanda (36%) e Olanda con il 46%.

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Anche con la crisi cresce la ricchezza. E gli investimenti immobiliari

Nel 2022, nonostante il periodo di instabilità e incertezza, quattro su dieci tra gli ‘ultra-high-net-worth individuals’ (UHNWI), gli individui con un patrimonio netto elevato, hanno registrato una crescita della propria ricchezza. Lo attesta l’ultimo Wealth Report pubblicato da Knight Frank. E secondo l’Attitude Survey, condotta lo scorso novembre su oltre 500 investitori tra banchieri, advisor e family officer (gestori di patrimoni familiari), in questo scenario il real estate si riconferma la migliore opportunità di investimento per il 46% degli intervistati. A livello globale, la media delle case di proprietà degli UHNWI è di 4,2 e addirittura di 5 in Asia, trend che dimostra il forte interesse in generale nei confronti degli immobili. I compratori più attivi, inoltre, si trovano in Medio Oriente.

Uno scudo contro l’inflazione

“L’immobiliare rappresenta uno dei migliori settori di investimento, come scudo contro l’inflazione o per diversificare il proprio portfolio – commenta Flora Harley, Partner del Dipartimento di Ricerca Residenziale di Knight Frank -. Un intervistato su dieci è alla ricerca di soluzioni sicure, controllabili e dal grande valore aggiunto, e le trova nel real estate”. Si prevede però che gli alti tassi di interesse comporteranno un rallentamento della domanda nel mercato immobiliare residenziale per il 2023. Il 15% degli UHNWI sta cercando una casa da acquistare contro il 20% dell’anno precedente. Secondo il sondaggio, Stati Uniti, Regno Unito e Spagna sono le tre migliori location per acquistare una casa. Australia e Francia completano la classifica delle top 5.

Per gli UHNWI il real estate è un’opportunità

Il real estate rappresenta una vera e propria opportunità per gli UHNWI. A livello globale, un intervistato su cinque sta pianificando investimenti diretti nel settore immobiliare per il 2023, mentre il 13% è alla ricerca di opportunità indirette. Il dato è abbastanza in linea con il 20% dello scorso anno, riconfermando l’attrattiva del mercato nonostante l’incertezza economica. Salute, logistica/industria, uffici, affitti privati, e hotel/svago sono i settori più appealing nel 2023 per circa un terzo degli intervistati.

“Stiamo entrando in una nuova fase di mercato”

A fronte di un investimento immobiliare, i buyer prendono sempre più in esame fattori come fonti energetiche (57%), opportunità di ristrutturazione (33%) e materiali utilizzati, in particolare per ridurre l’impronta carbonica (30%).

“Con il 68% degli UHNWI che si aspetta una crescita della ricchezza nel 2023, prevediamo cambiamenti nelle strategie di diversificazione del portafoglio, con il settore del real estate che gioca un ruolo sempre più rilevante negli ultimi anni – spiega Liam Bailey, Global Head del Dipartimento di Ricerca di Knight Frank -. La pressione al ribasso sui valori degli immobili, dovuta a tassi di interesse più elevati, ha creato una finestra per il capitale privato, in particolare perché stiamo entrando in una nuova fase di mercato con minimi storici in termini di stock di proprietà di fascia alta nei mercati residenziali e commerciali”.

Mutui variabili: in 12 mesi rate più care del 36%

Secondo un’analisi di Facile.it, a distanza di soli 12 mesi i mutuatari oggi pagano una rata di oltre 160 euro in più rispetto a quella di partenza, con un tasso di interesse (TAN) passato dallo 0,67% al 3,33% di oggi. Nel corso del 2022 le rate di un mutuo medio a tasso variabile sono infatti aumentate del 36%, passando da una media di 456 euro a una di 619 euro al mese. Per effettuare la sua analisi Facile.it ha preso in esame un finanziamento a tasso variabile da 126.000 euro con la durata di 25 anni, sottoscritto a gennaio 2022. 

La BCE ha annunciato che nel 2023 continuerà ad aumentare gli indici

La corsa dei tassi variabili non sembra essere terminata. Anzi, la BCE ha già annunciato che nel 2023 continuerà ad aumentare gli indici, con inevitabili conseguenze anche sulle rate dei mutuatari. Se si guarda alle aspettative di mercato (Futures sugli Euribor), gli esperti prevedono che entro giugno 2023 l’Euribor a 3 mesi cresca ancora di quasi 1 punto e mezzo. Nel caso queste previsioni si avvereranno la rata mensile del mutuo preso in esame arriverebbe addirittura a 718 euro. Ovvero, oltre 260 euro in più rispetto a quella sottoscritta a gennaio 2022.

Tasso fisso: da 1,05% a 3,26%

Anche sul fronte dei tassi fissi nel 2022 sono stati rilevati aumenti significativi. Se per chi ha un mutuo in corso non è cambiato nulla, chi sceglie oggi di sottoscrivere questo tipo di finanziamento trova sul mercato indici più alti rispetto al passato. Guardando alle migliori offerte disponibili online, emerge che oggi per un mutuo fisso (126.000 euro in 25 anni per un immobile da 180.000 euro) i tassi di interesse (TAN) partono da 3,26%, con una rata iniziale di circa 614 euro. Dodici mesi fa, invece, le migliori offerte partivano da 1,05%, con una rata di circa 477 euro. Dati alla mano, quindi, questo finanziamento oggi costa circa 137 euro in più al mese. Vale a dire oltre 40.000 euro in più di interessi se si considera l’intera durata del prestito.

Conviene confrontare diverse offerte e affidarsi a consulenti


“Il 2022 è stato caratterizzato da un aumento generalizzato degli indici dei mutui, un trend che potrebbe continuare anche nel 2023, soprattutto per quanto riguarda i tassi variabili – spiegano gli esperti di Facile.it -. In un contesto di grande cambiamento e dinamicità come quello attuale, dove la distanza tra tasso fisso e variabile si è ridotta, non sempre è semplice orientarsi: basti pensare, ad esempio, che oggi ci sono sul mercato mutui variabili con indici più alti rispetto a quelli fissi. Il consiglio, quindi, è di confrontare le offerte di più banche, e affidarsi a consulenti esperti per individuare il prodotto più adatto”.

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Lavoro: meglio scegliere chi offre opportunità di sviluppo e formazione

L’inflazione in aumento e la prospettiva di un’ulteriore flessione economica spinge le aziende a preservare il personale, anche a causa della carenza, in molti settori, di nuovi talenti, e del blocco alle assunzioni. In questo scenario, in cui molte aziende non sono in grado di aumentare i salari, investire in attività di Learning & Development potrebbe essere uno strumento decisivo per fidelizzare e trattenere le persone in azienda. Come rivela la nuova survey condotta da Docebo, in Italia oltre 8 lavoratori su 10 (82%) sono più propensi a scegliere un datore di lavoro che offra opportunità di formazione e sviluppo costanti. Inoltre, 6 lavoratori su 10 (61%) sono disposti a cambiare lavoro entro 12 mesi se l’attuale datore di lavoro non offrisse opportunità di apprendimento o formazione essenziali per la crescita e lo sviluppo della carriera.

Una cultura aziendale debole spinge a rassegnare le dimissioni

Le principali motivazioni che spingono i dipendenti ad abbandonare l’attuale posto di lavoro sono retribuzione insufficiente (78%), cattiva gestione aziendale (52%) e scarse opportunità di crescita professionale (45%). Se, da un lato, la retribuzione resta un fattore fondamentale, dall’altro, mancanza di manager preparati, carenza di nuovi talenti e conseguente insufficienza di personale, mettono sotto pressione i team, portando a possibili fughe dall’azienda. Inoltre, un quarto dei lavoratori (25%) indica la ‘cultura aziendale debole’ come ulteriore fattore che li spingerebbe a cambiare lavoro.

“La crescita professionale è un elemento non negoziabile”

Dalla survey emerge poi che i Millennial sono molto attenti alle politiche di Learning & Development: l’83% è più propenso a scegliere un datore di lavoro che offra opportunità di sviluppo e apprendimento continue rispetto al 79% dei GenZ. Del resto, il 66% dei Gen Z e il 65% dei Millennial è più favorevole dei Baby Boomer (55%) a prendere in considerazione il licenziamento nel caso in cui il datore di lavoro tagliasse gli investimenti in Learning & Development.
“Quello che osserviamo anche in Italia è un trend chiaro che dimostra quanto siano importanti le opportunità di formazione e sviluppo per il personale – commenta Claudio Tadoldi, Regional Sales Director di Docebo -,  e quanto la crescita professionale sia un elemento non negoziabile quando si tratta di proseguire la propria carriera nella stessa azienda”.

“Un impatto tangibile sui tassi di fidelizzazione”

“Prima di tagliare i budget di Learning & Development e rischiare che il personale abbandoni l’azienda, i datori di lavoro devono considerare che i programmi di upskilling hanno un ritorno tangibile sull’investimento – aggiunge Tadoldi -. Infatti, che si tratti di attrarre i candidati giusti o migliorare le competenze dei manager e la cultura aziendale, incoraggiando la formazione continua, e motivando le persone a fare carriere restando all’interno della propria organizzazione, l’attività di Learning & Development ha un impatto tangibile sui tassi di fidelizzazione. E, di conseguenza, sui profitti dell’azienda”.

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Natale 2022: l’impatto dell’aumento dei prezzi sulla spesa per i regali

Le vacanze di Natale 2022 sono particolarmente sentite dagli italiani, i quali pensando ai festeggiamenti natalizi e di fine anno. Manca infatti poco all’inizio delle festività natalizie, ma quest’anno gli italiani si trovano letteralmente a fare i conti con gli aumenti dei prezzi. Che prevedibilmente ha influito anche sull’entusiasmo per i festeggiamenti. E se per poco più della metà degli italiani (51%) l’entusiasmo è rimasto invariato rispetto allo scorso anno, per il 26% è decisamente minore rispetto al Natale 2021. È quanto emerge dallo studio condotto dal team di Ipsos Public Affairs sulle intenzioni d’acquisto e le prospettive di spesa per gli acquisti e i festeggiamenti natalizi di quest’anno.

Soldi e beni materiali, ma anche salute e serenità

In cima alla lista dei desideri si collocano i soldi, con il 14% che spera di riceverne per le imminenti feste natalizie e di fine anno. A seguire, beni materiali, come abbigliamento, libri e profumi, o anche beni immateriali, come salute e serenità. Al contempo, non di rado accade di ricevere un regalo non gradito o di cui non si ha bisogno. In questo caso, il 42% decide di tenerlo, il 25% di regalarlo a qualcun altro, il 20% di cambiarlo, e il 18% di venderlo, spingendo sempre più il fenomeno del second-hand. Soltanto il 12% dichiara di fare una donazione e il 6% di restituirlo.

Shopping natalizio: abbigliamento e accessori, buoni regalo, libri e beauty

Al primo posto tra i regali ci sono abbigliamento e accessori (45%), acquistati in negozio (75%) o online (52%). Seguono i buoni regalo (31%), libri (30%), acquistati principalmente online (69% vs 51% in store) e articoli di bellezza (30%, 62% acquistati online e 60% in store). Il 27% degli italiani ha già acquistato o prevede di acquistare, principalmente online (77%), articoli di elettronica, e il 26% giocattoli e giochi, e articoli per la casa, comperati il più delle volte presso le insegne fisiche (74%).
Soltanto il 16% prevede di regalare un’esperienza, come eventi, viaggi, attività, il più delle volte acquistata online (90%).

Si cercano promozioni, sconti, affari o coupon

Il 65% afferma di provare stress per l’aumento dei prezzi, e se il 53% dichiara di cercare promozioni, prezzi scontati, affari o coupon, il 40% ha approfittato degli sconti del Black Friday, mentre l’8% prevede di acquistare prodotti di seconda mano. Le prospettive di spesa sembrano davvero pessimiste. Pur distinguendo tra spese per regali, cenoni, pranzi e viaggi, durante le vacanze natalizie le aspettative di spesa sono sensibilmente ridotte rispetto allo scorso anno. Una percentuale compresa tra il 61% e il 74% prevede di spendere meno del 2021, il 12%-27% pensa di mantenersi sugli stessi livelli dello scorso anno, e solo il 4%-5% mette in conto un aumento della spesa, dovuto però quasi esclusivamente alla dinamica inflattiva. In pratica, a parità di acquisti, aumentando i prezzi aumenta la spesa.

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Italia campionessa europea di riciclo

Qualche buona notizia e qualche primato per il nostro Paese, spesso bistrattato. Questa volta le good news arrivano dallo studio annuale ‘L’Italia che Ricicla’, il Rapporto presentato da Assoambiente – l’Associazione che rappresenta le imprese che operano nel settore dell’igiene urbana, riciclo, recupero, economia circolare e smaltimento di rifiuti, nonché bonifiche.  “Ci sono più luci che ombre per l’Italia che ricicla i rifiuti” si legge nel report. “Il nostro Paese è leader in Europa per tasso di riciclo e secondo per tasso di circolarità. Esportiamo ancora troppi rifiuti, anche per mancanza di un adeguato sistema impiantistico, soprattutto nel Centro-Sud del Paese. Per cogliere le sfide poste dal Pnrr e dagli obiettivi fissati a livello europeo serve puntare su strumenti (ad esempio ‘acquisti verdi delle Pa’ e incentivi fiscali su prodotti riciclati) in grado di far compiere il definitivo salto di qualità all’industria nazionale del riciclo”. 

Prima in Europa 

L’Italia si colloca al primo posto a livello europeo per tasso di avvio al riciclo dei rifiuti (sia urbani che speciali), rispetto al totale gestito, riferisce Adnkronos. Il dato italiano, pari all’83,2% (riferito al 2020, ultimi dati disponibili), è decisamente superiore non soltanto alla media Ue (39,2%), ma anche rispetto ai maggiori Paesi dell’Unione: Spagna (60,5%), Francia (54,4%) e Germania (44%). Guardando al tasso di circolarità dei materiali, che misura la quota di materiale riciclato e reimmesso nell’economia nell’uso complessivo dei materiali, l’Italia, con il 21,6%, si colloca poco sotto il primato della Francia (22,2%) e comunque sopra la Germania (13,4%) e la Spagna (11,2%) e, più in generale al di sopra della media Ue (12,8%). Un trend in decisa crescita, se si tiene conto che tale indicatore si attestava al 12,6% solo 9 anni fa. Un primato che si conferma anche con riferimento al tasso di utilizzo di metalli provenienti dal riciclo, che denota il contributo offerto dai metalli riciclati al soddisfacimento della domanda complessiva: qui l’Italia costituisce addirittura il benchmark di riferimento tra i principali Stati europei con un 47,2%, con Francia (39,3%), Germania (27,3%) e Spagna (18,5%) decisamente più indietro.

Molto ancora da fare

Tuttavia, molto resta da fare su diversi fronti per far divenire l’industria del riciclo il fulcro di una nuova strategia di sviluppo del Paese, basata sull’economa circolare. A partire dall’impiantisca: se la Germania con ben 10.497 impianti attivi è leader a livello europeo, l’Italia si colloca al secondo posto, con 6.456 impianti di recupero di materia, seguita dalla Spagna con 4.007 impianti. Un dato all’apparenza positivo, ma caratterizzato da un elevato numero di impianti di medio-piccola dimensione e per lo più collocati nel Centro-Nord del Paese, nello specifico nelle regioni in cui il comparto manifatturiero risulta particolarmente attivo e in cui i materiali recuperati possono facilmente essere reintegrati: nella sola Lombardia è presente il 22% dell’impiantistica nazionale dedicata al recupero di materia. Proprio la Lombardia è la Regione che ricicla di più, con un totale di 31.018.381 tonnellate avviate al recupero, seguita da Veneto con 12.377.245 tonnellate ed Emilia-Romagna con 10.010.270 tonnellate.

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e-commerce: in Italia vale più della media globale ed europea

Negli ultimi tre mesi del 2022 l’Italia si dimostra più propensa allo shopping online rispetto agli altri paesi del mondo, e l’andamento complessivo del commercio digitale rimane invariato, a dispetto, ad esempio, dei Paesi nordici (-21%), il Regno Unito (-13%), la Germania (-10%), o l’Olanda (-6%). A livello globale, il commercio digitale in media è diminuito del 2% rispetto allo stesso periodo del 2021. È quanto emerge dai dati relativi al terzo trimestre 2022 dello Shopping Index, il report trimestrale di Salesforce che descrive l’andamento dello shopping online attraverso i dati relativi alle transazioni di oltre un miliardo di consumatori in tutto il mondo.

Traffico: +7%, soprattutto dallo smartphone

L’Italia ha registrato una crescita complessiva del traffico del 7%, +4% rispetto al traffico globale (3%), ma è tra i paesi con i tassi di conversione, ovvero il rapporto tra traffico online e ordini, più bassi al mondo (1,1%). Nel nostro paese il traffico e-commerce generato dai social media è pari al 10%, superando la media globale (8%), ma se a livello globale il traffico social generato da tablet ha registrato la crescita maggiore (+16%), in Italia il device che genera più traffico è lo smartphone (13%), +1% rispetto al terzo trimestre 2021. In Europa il calo è stato un po’ più marcato rispetto alla media globale, probabilmente a causa dell’impatto della guerra in Ucraina. Le vendite online in Europa nel terzo trimestre 2022 sono diminuite del 9% su base annua, con un calo del volume degli ordini del 3%. Tuttavia, i consumatori hanno speso di più nel settore fashion, in particolare per calzature (+18%) e pelletteria (+17%), mentre si evidenzia un calo significativo delle categorie toys&learnings (-22%) e casa (-19%).

Consumatori digitali globali: -4%

A livello globale il numero di consumatori digitali (-4%) e il volume degli ordini (-5%) sono diminuiti rispetto all’anno precedente, mentre il traffico online è aumentato del 3% su base annua. Il traffico da dispositivi mobili è cresciuto del 6% su base annua, mentre il traffico generato da PC è diminuito del 2%. Gli ordini globali sono diminuiti del 4% su base annua, una riduzione più contenuta rispetto al calo dell’8% registrato nel secondo trimestre. Aumentano però dell’1% gli ordini generati da PC, un dato positivo rispetto al -4% registrato nel secondo trimestre, riferisce Adnkronos.

Un mercato in fase di riequilibrio

“A oggi il commercio elettronico si sta pian piano riequilibrando dopo l’impennata sostenuta durante la pandemia, ma ciò non toglie che viviamo in un mondo sempre più digitale, dove le aziende devono adattarsi in continuazione alle mutevoli condizioni del mercato in modo da soddisfare al meglio le richieste dei consumatori – commenta Maurizio Capobianco, Area VP Cloud Sales di Salesforce -. L’Italia, che in questo terzo trimestre 2022 ha mantenuto costante la propria rotta sulla via del commercio digitale, al momento si sta dimostrando più che all’altezza di tali aspettative superando la media globale, non solo nel commercio digitale, ma anche nel traffico e-commerce generato dai social media”.

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Perchè la prima colazione è un rito casalingo irrinunciabile?

Gli esperti ribadiscono l’importanza della prima colazione per cominciare bene la giornata. È un’abitudine non solo salutare e piacevole, ma anche conveniente, che andrebbe adottata fin dalla tenera età.
Secondo i dati dell’Osservatorio Doxa-Unionfood nell’ultimo biennio un italiano su 3 ha riscoperto il valore della prima colazione in famiglia (o con il partner) e il 28% ha dedicato più tempo al primo pasto della giornata. Un rituale a cui gli italiani sembrano voler mantenere fede anche nel post-pandemia. Il 29% dichiara di voler continuare a condividere il momento della colazione con i propri affetti, ogni giorno, tra le mura domestiche.

Gli italiani non hanno mai “saltato” la colazione durante la pandemia

Secondo i dati della ricerca inoltre, 9 italiani su 10 (il 96%), durante la pandemia non hanno mai saltato la colazione. Non solo: i risultati dello studio confermano che durante il lockdown molti hanno cambiato il loro approccio al primo pasto della giornata, scoprendo il bello della lentezza e della condivisione. Per iniziare bene la giornata, infatti, la prima cosa da fare al mattino è la colazione, sempre e comunque, e adattandola all’età, alle stagioni, alle diverse esigenze nutrizionali. È un imperativo su cui gli esperti non nutrono alcun dubbio: consumare il primo pasto della giornata al risveglio, prendendosi tutto il tempo necessario, è il modo migliore per assumere i nutrienti necessari per sentirsi in piena forma e dare il via al susseguirsi degli impegni quotidiani.

Una sana abitudine per tutti: non esistono controindicazioni 

Fare colazione è una sana abitudine per tutti. Non esistono controindicazioni per questo pasto, ma solo benefici. La colazione, infatti, è molto più di un semplice pasto, è l’occasione ideale per sperimentare nuovi cibi, è un momento per riappropriarsi del tempo per sé stessi prima di essere fagocitati dagli impegni giornalieri. Ed è anche un rito sociale, per confrontarsi ed entrare in connessione con gli altri membri della famiglia. Inoltre, poter spaziare ogni giorno fra diversi tipi di alimenti e bevande da portare in tavola è un altro importante beneficio del fare colazione a casa. 

Farla a casa contribuisce anche a ridurre gli sprechi

Oltre ai numerosi vantaggi per la salute ed il benessere familiare, la colazione ‘a casa’ ha anche altri benefici. L’acquisto di confezioni familiari, sicuramente più accessibili per i consumatori, come ad esempio, i maxi formati di biscotti, fette biscottate o cereali, consente di suddividere le porzioni tra i vari commensali. Fare colazione a casa contribuisce, quindi, anche a ridurre gli sprechi. La possibilità di condividere i cibi o consumare ciò che non ha mangiato l’altro commensale è sicuramente un modo utile per ridurre lo spreco alimentare, che purtroppo fuori casa è molto più difficile contrastare.

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