Lombardia: le Olimpiadi trainano l’enoturismo 

La forza attrattiva dell’enoturismo in Lombardia può presentare ancora enormi potenzialità, poiché in Italia occupa solo la 7° posizione (3%). Al primo posto per attrattività legata al turismo enologico si colloca infatti la Toscana (28%), seguita da Piemonte (23%), Veneto (15%), Trentino (8%), Friuli Venezia Giulia (6%), Sicilia e Puglia (5%).
Secondo una ricerca del ricercatore del Censis Giulio De Rita, svolta in collaborazione con Klaus Davi, la Lombardia occupa attualmente la quinta posizione fra le regioni che esportano vino. Ma il fenomeno dell’enoturismo, che già in Lombardia sta attraversando un momento positivo, al netto del rallentamento avvenuto durante gli anni della pandemia, potrebbe beneficiare in grande misura dell’evento sportivo delle Olimpiadi invernali Milano Cortina 2026.

Un settore sottostimato rispetto alle sue potenzialità

La ricerca è stata presentata nella sede della Regione Lombardia in presenza dell‘Assessore all’agricoltura Fabio Rolfi e di numerosi produttori tra cui: Conte Vistarino, Edoardo Freddi, Travaglino, Triacca, Uberti.
“Il Censis non fa previsioni ma registra il presente – commenta De Rita -. Ma salta agli occhi di tutti che il dato dell’attrattività dell’enoturismo in Lombardia è nettamente sottostimato rispetto alle potenzialità che può presentare”.
Chi ha esplorato la Lombardia però ne è rimasto affascinato e coinvolto. L’agenzia di comunicazione d’impresa di Klaus Davi ha analizzato il ‘sentiment’ online di mille turisti, che hanno dimostrato di apprezzare tutto il territorio della Regione, e non solo il capoluogo Milano.

Province lombarde: un passo avanti per lo storytelling internazionale

La Regione si conferma nel percepito internazionale ancora come un po’ Milano-centrica, complice le numerose fiere e manifestazioni dedicate a settori nevralgici come la Moda e l’Arredo-Design, ma tutte le province lombarde hanno fatto grossi passi avanti nel percepito e nello storytelling internazionale. Ad esempio, Brescia viene identificata per le sue storie industriali, Bergamo per la sua Città Alta, Como per i paesaggi e il lago frequentato dai Vip, Mantova per gli affreschi di Andrea Mantegna, Varese per il Sacro Monte, Cremona per le liuterie e i violini, e Pavia per la Certosa.

Dalla Franciacorta all’Oltrepò Pavese alla Valtellina

Quanto più propriamente ai vini, la ricerca ha mappato i territori che vengono associati alle varie tipologie di vino. Per le bollicine spiccano Franciacorta e Oltrepò, e per i vini bianchi il Lugana. Per i rossi e bianchi fermi invece, primeggiano l’Oltrepò Pavese, soprattutto il Pinot Nero, mentre per i vini eroici le bottiglie della Valtellina.
Promossi poi anche i ristoranti Lombardi, con valutazioni lusinghiere. E non è un caso che gli chef che operano in Lombardia emergano anche all’estero, come ad esempio, Enrico Bartolini, l’unico con 3 stelle Michelin a Milano, oppure Carlo Cracco.

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Grandi dimissioni: conviene mettersi in proprio?

Sebbene in America nuovi studi stiano evidenziando una fascia di ‘pentiti’ (in particolare, uno su quattro), che oggi tornerebbe sui propri passi, il fenomeno delle Grandi Dimissioni non sembra fermarsi. Il fenomeno delle Grandi dimissioni è emerso con grande evidenza con la fine della pandemia e con la ripresa teorica del lavoro secondo i vecchi canoni.

“Molti dipendenti hanno iniziato a riesaminare, anche in modo radicale, il bilanciamento tra lavoro e vita privata, finendo in molti casi con il dimettersi, alla ricerca di nuovi equilibri maggiormente orientati verso la qualità della seconda”, spiegano Carlo Majer ed Edgardo Ratti, co-managing Partner di Littler Italia. Ma come capire se lasciare il lavoro, magari, per mettersi in proprio, è la decisione giusta?

Tra burnout, scarsa motivazione e quiet quitting 

“Mettersi in proprio non è una scelta adatta a tutti – chiarisce Nicola Palmieri, Youtube creator e imprenditore digitale -. Se da una parte puoi godere di grande autonomia decisionale ed economica, dall’altra dovrai affrontare un percorso in solitaria”.

In un periodo di burnout e scarsa motivazione, individuare ciò che appassiona può essere un esercizio non semplice. Basti pensare alle proporzioni che sta assumendo il ‘quiet quitting’, soprattutto tra la Generazione Z. Si tratta dell’ultima tendenza a fare il minimo indispensabile al lavoro, fuori dalla logica del sacrificio e degli straordinari. In America il quiet quitting riguarda metà dei dipendenti e in Europa la situazione non è migliore. Secondo un report di Gallup, sarebbero a malapena il 14% i lavoratori che oggi si sentono davvero coinvolti nella propria attività.

Creare qualcosa di nuovo richiede tempo e la conoscenza di strumenti digitali

Capire, poi, quali passioni siano realmente ‘monetizzabili’ è uno step successivo fondamentale, se si vuole davvero cambiare vita.
“Dobbiamo prepararci a smontare e successivamente tentare di migliorare le idee che abbiamo raccolto, per creare qualcosa di unico e mirato su un pubblico specifico. Un percorso che richiede studio, tempo, metodo e la conoscenza di strumenti digitali – continua Palmieri -. Per capire se un’idea vale il rischio di lasciare il lavoro, dobbiamo testarla sui primi clienti con un Mvp (Minimum Viable Product), ossia un prototipo di base per ottenere i feedback iniziali, in grado di guidarci nell’affinamento del progetto”.

Scegliere il lavoro autonomo o lasciare l’azienda?

La strada del lavoro autonomo, riporta Adnkronos, è dunque stimolante, ma piena di sfide. Perché si dovrà poi creare e valorizzare il proprio personal brand, individuare i giusti canali con cui promuoversi, imparare tecniche di vendita, e accettare i fallimenti. E così per molti l’impiego da dipendente resta l’alternativa più adeguata, senza rinunciare a quel cambio di equilibrio che si fa sempre più urgente e irreversibile. Un aspetto su cui si giocherà la competitività del mercato del lavoro nei prossimi anni.

IT verde: i CIO in prima linea per combattere il cambiamento climatico

Sebbene gli obiettivi climatici di molte organizzazioni siano elevati, i responsabili della tecnologia aziendale, CIO, CDIO e CTO, non sono sempre riusciti a trasformare le ambizioni climatiche in realtà. Aziende e governi sono infatti sottoposti a crescenti pressioni per ridurre le emissioni di carbonio, e la tecnologia gioca un ruolo chiave nel raggiungimento di tali obiettivi. I CIO delle aziende si troveranno quindi in prima linea: la sfida consisterà nel ridurre l’impronta di carbonio dell’IT fornendo al contempo servizi tecnologici di alta qualità e a basso costo a clienti e dipendenti. I CIO possono scegliere tra un’ampia gamma di risposte: si tratta di misure che implicano strategie di approvvigionamento, metriche chiave e un sistema di gestione delle prestazioni. Ma un’analisi di McKinsey mostra che l’impatto maggiore delle emissioni generate dall’IT si trova in luoghi inaspettati.

I veri “colpevoli” sono i dispositivi degli utenti finali

La tecnologia aziendale è responsabile dell’emissione di circa 350-400 megatoni di gas equivalenti di CO2, circa l’1% delle emissioni globali di gas serra (GHG). Il settore industriale che contribuisce con la quota maggiore delle emissioni di gas serra è quello delle comunicazioni, dei media e dei servizi, ma i veri ‘colpevoli’ sono i dispositivi degli utenti finali (laptop, tablet, smartphone e stampanti), che generano da 1,5 a 2,0 volte più carbonio a livello globale rispetto ai data center. Una fonte significativa di queste emissioni sono i semiconduttori che alimentano i dispositivi. Inoltre, i dispositivi vengono sostituiti molto più spesso: gli smartphone, ad esempio, hanno un ciclo di aggiornamento medio di due anni, i laptop quattro e le stampanti cinque. Circa tre quarti delle emissioni, poi, provengono da produzione, trasporto e smaltimento.

Adottare soluzioni a basso costo e ad alto impatto

Esistono numerose opzioni a basso costo e ad alto impatto, che non richiederanno alcun investimento e ridurranno i costi. A cominciare da un migliore approvvigionamento, principalmente acquistando meno dispositivi per persona ed estendendo il ciclo di vita di ciascun dispositivo attraverso il riciclaggio.
Ulteriori azioni includono l’ottimizzazione dei viaggi di lavoro e delle esigenze di elaborazione dei data center, nonché l’aumento dell’uso del cloud per gestire i carichi di lavoro. Con una migrazione ponderata e un utilizzo ottimizzato del cloud, le aziende potrebbero ridurre le emissioni dai loro data center di oltre il 55%, circa 40 megatoni di CO2 in tutto il mondo.

Ottenere dal 15% al 20% di emissioni in meno nel primo anno

Combattere efficacemente il cambiamento climatico non avverrà attraverso una o due grandi vittorie, e per avere un impatto reale le aziende e i governi dovranno agire in molti settori. La tecnologia ha un ruolo enorme da svolgere in molte di queste aree, ma i CIO e i leader tecnologici devono agire in modo rapido e deciso.
In media, il completamento delle misure difensive potrebbe richiedere dai tre ai quattro anni. Tuttavia, i CIO che agiscono in modo deciso e preciso possono raggiungere dal 15 al 20% del potenziale di riduzione delle emissioni di carbonio nel primo anno con un investimento minimo.

La casa? Resta il bene rifugio degli italiani

Possedere una casa e “organizzarla” per renderla il più possibile efficiente sotto il profilo energetico. Ecco cosa sognano gli italiani a settembre, tornati dalle vacanze: ancora una volta la casa resta il bene rifugio, e un’ampia percentuale di nostri connazionali desidera acquistarla. Ma c’è di più: per contrastare il caro bollette, si punta a rendere la propria abitazione meno energivora installando fotovoltaico, pompe di calore e nuovi elettrodomestici a basso consumo.

Le intenzioni di acquisto

Rispetto al mese precedente, le intenzioni d’acquisto aumentano del 9,8% con segnali positivi dal comparto mobilità e tecnologia. Cresce il timore per il possibile stop delle forniture. Il comparto “casa” traina il rialzo, quasi a doppia cifra, delle intenzioni d’acquisto (+9,8%) rilevate dall’Osservatorio Findomestic di settembre, realizzato dalla società di credito al consumo del gruppo BNP Paribas in collaborazione con Eumetra. A fine agosto gli Italiani che hanno manifestato l’intenzione di acquistare nuove case sono aumentati del 40,2% rispetto a luglio avvicinandosi ai livelli massimi toccati lo scorso giugno, ma cresce anche l’interesse a migliorare quella che hanno già: sono soprattutto i progetti per rendere più efficienti le proprie abitazioni contro il caro-energia a dare la spinta: fotovoltaico (+32,6%, ai massimi livelli degli ultimi 12 mesi), pompe di calore (+17,4%), grandi e piccoli elettrodomestici (rispettivamente +10,4% e + 9,7%), infissi (+9,2%) e caldaie a condensazione o biomassa (+4,1%). L’ambiente domestico si può migliorare anche grazie a nuovi mobili (+12,6% di intenzioni d’acquisto) o acquistando una nuova TV, segmento che si conferma su livelli alti grazie all’effetto switch-off con un incremento del 12%. Solo i lavori di isolamento termico sono in controtendenza: -3,9%.

Sì alla tecnologia e alla mobilità, basta (per ora) ai viaggi

Dopo la flessione rilevata a fine luglio, i dati dell’Osservatorio Findomestic evidenziano nell’ultimo mese un ritorno in positivo delle intenzioni d’acquisto di auto nuove (+10,5% in generale, +49% per le elettrificate), usate (+2,8%) e motoveicoli che fanno registrare un incremento del 16,3%. Torna a crescere anche la voglia di e-bike (+9,5%) mentre i monopattini elettrici cedono il 10,5%. Fine estate molto positiva per il comparto tecnologico con i livelli di propensione all’acquisto più alti dell’ultimo anno per telefonia (+8,3%, il 35% del campione pensa di acquistare un nuovo telefono nei prossimi 3 mesi), PC e accessori (+9,5% e 30,2%) e tablet/e-book (+16,4%, 22,5% del campione). Andamenti contrastanti nel settore “Tempo libero”: in ripresa le intenzioni d’acquisto di attrezzatura sportiva (+18,3%) e fai-da te (+6,6%), in fisiologico calo (-18,2%) a fine estate il settore “viaggi e vacanze”. 

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Imprese: crescono i fatturati, ma peggiorano marginalità e rischio creditizio

Secondo alcune evidenze emerse dall’ultimo aggiornamento dell’Osservatorio CRIF Pulse, la dinamica inflazionistica continuerà a spingere verso l’alto i fatturati delle imprese italiane anche nel 2022, previsti al +9% sia rispetto al 2021 sia al 2019.La ripresa economica registrata nel 2021 ha infatti consentito un importante recupero del fatturato e dei margini delle aziende italiane, seppur con grosse differenze tra i diversi settori. Tuttavia, l’attuale contesto caratterizzato da molteplici tensioni e fattori di incertezza, comporta una revisione al ribasso delle prospettive 2022 sul fronte della marginalità operativa. È prevista infatti in calo sia rispetto al 2021 (-40 bps) sia rispetto al 2019 (-50 bps), prima che la diffusione della pandemia arrivasse a condizionare in modo tanto pesante l’economia globale.

Più rischio per Turismo, Tempo Libero, Costruzioni, Immobiliare e Agricoltura 

Nel primo semestre 2022 le imprese italiane hanno iniziato a risentire in modo evidente dei fattori di tensione e di incertezza, tanto che oltre il 40% delle imprese si caratterizza per un livello di rischio creditizio prospettico medio-alto. A livello settoriale, risultano maggiormente esposti Turismo, Tempo Libero, Costruzioni e Immobiliare, i comparti che dall’inizio della pandemia avevano subito gli effetti più significativi, e l’Agricoltura, a causa dell’emergenza idrica e del caro energia. Le previsioni per il 2022 vedono da un lato la crescita del fatturato legata alla spinta inflazionistica e dall’altro la riduzione dei margini operativi derivante dall’incremento dei costi energetici e delle materie prime.

Pressione sui margini operativi e fabbisogno di capitale

“A livello di impatto finanziario, l’equilibrio fonti-impieghi delle aziende italiane resta delicato – spiega Simone Mirani, General Manager di CRIF Ratings -. La pressione sui margini operativi e il fabbisogno di capitale circolante saranno difficilmente compensabili nel breve termine in termini di capacità di generazione di cassa. Tuttavia, le aziende che hanno effettuato un’adeguata provvista finanziaria nel biennio 2020-2021, anche grazie agli strumenti messi in campo dal governo italiano per contenere la crisi causata dalla pandemia, dispongono di un vitale polmone di liquidità”.

L’impatto dei tassi d’interesse sul tasso di default

“Da tenere presente, però, che il venir meno delle moratorie e la conseguente ripresa dei piani di rimborso del debito finanziario, unitamente all’impatto dell’impennata dei costi dell’energia e di alcune materie prime, potranno accentuare le tensioni sul fronte della liquidità, specie nei settori ad alta intensità di capitale circolante e in quelli energivori – aggiunge Simone Mirani -. Il progressivo incremento dei tassi d’interesse nell’attuale contesto potrà inoltre contribuire, specie per le aziende con elevati livelli di indebitamento, ad accrescere ulteriormente il rischio di credito nel medio termine, e il conseguente tasso di default nel biennio 2023-2024”.

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WhatsApp è più amata dagli italiani: 35 milioni di utenti la usano per chattare

Secondo l’analisi dell’esperto di social media Vincenzo Cosenza, basata sulle rilevazioni di Audiweb powered by Nielsen, è WhatsApp in assoluto l’app di messaggistica preferita dagli utenti italiani, tanto che a giugno ha toccato un picco di circa 35 milioni di utilizzatori. Dopo WhatsApp, al secondo posto si piazza Messenger, sempre del gruppo Meta, seguita da Telegram. Ma si sta facendo avanti Discord, un’app nata inizialmente per il mondo dei giochi. Di fatto WhatsApp, che di recente ha aggiunto funzionalità di privacy, in media nei primi mesi di quest’anno è stata usata per 10 ore e 50 minuti a persona al mese, con una punta di 11 ore e 29 minuti a gennaio. Rispetto ai corrispondenti mesi del 2021, rileva Vincenzo Cosenza, WhatsApp registra un calo ‘irrisorio’ di utilizzo, pari all’1,4%, mentre guardando più indietro nel tempo si può apprezzare la sua crescita: nel 2019 la media di utenti era infatti pari a 31,8 milioni.

Messenger perde il 21% di utenti, Telegram ne conquista 15,5 milioni ma sono il 7% in meno

Quanto a Messenger, sono stati circa 17,3 milioni gli utilizzatori medi nel primo scorcio del 2022. Ma il calo rispetto all’anno precedente, a differenza di WhatsApp, è stato del 21%, ovvero pari a 4,5 milioni di persone in meno. Segno, questo, “di una difficoltà dell’app di Zuckerberg di trovare una sua collocazione rispetto alla sorella acquisita WhatsApp”, spiega Vincenzo Cosenza.

Telegram invece conquista 15,5 milioni di italiani, ma nonostante la crescita “si nota un calo del 7% rispetto ai primi sei mesi del 2021”, aggiunge l’esperto. Il tempo di utilizzo medio di Telegram rimane però elevato: in media nel 2022 le persone usano la chat per 2 ore e 9 minuti al mese, il 16% in più rispetto all’anno precedente.

Per Discord 1,9 milioni di utenti, +29% rispetto al 2021

Quanto a Discord, gli italiani che l’hanno usata nel 2022 sono stati 1,9 milioni, in crescita del 29% rispetto all’anno precedente. Il tempo medio trascorso in questo caso è di circa 1 ora e 20 minuti a persona al mese. Tutte le altre chat di nicchia, si legge nell’analisi, hanno subìto un calo consistente rispetto all’anno della pandemia. Skype, ad esempio, rimane con uno zoccolo duro di 3,1 milioni di utenti mensili, ma scende del -14% rispetto al 2021, con un tempo d’utilizzo di 27 minuti pari a -40%.

Le perfomance delle “altre”: Google Chats, Google Meet, Kik e Signal

L’analisi prosegue con i ‘risultati’ ottenuti da Google Hangouts, ora diventata Google Chats, e Google Meet, che insieme raggiungono 1,8 milioni di persone, in calo del -52%. Un’app che resiste sul mercato dal 2010 è però Kik, che nel nostro paese è ancora usata da 1,1 milioni di utenti, ma anch’essa in calo del -16%. Seguono l’app più attenta alla sicurezza, Signal, con poco più di 500.000 utenti (-48%) e un tempo di utilizzo medio mensile di circa 1 ora.

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Credito specializzato: nei primi tre mesi 2022 supera i livelli pre-pandemia

Nonostante le incertezze generate dal contesto geopolitico e le tensioni macro-economiche nei primi tre mesi del 2022 il credito specializzato ha superato i livelli pre-pandemia. A un confronto con lo stesso periodo del 2019, la nuova produzione evidenzia infatti una variazione positiva del +7,7%. I diversi comparti, tuttavia, mostrano trend differenti. A fronte di una decisa crescita del valore dello stipulato nel mercato del leasing, la crescita del turnover è più contenuta per il factoring e le erogazioni di credito alle famiglie. È quanto emerge dalla 15esima analisi annuale dei dati aggregati relativi al credito specializzato effettuata dalle associazioni di categoria Assifact, Assilea e Assofin.

La crescita è più marcata per il leasing: +25,6%  

Nel contesto di ripresa che ha caratterizzato il Paese nel 2021, con il Pil annuale che ha segnato un +6,6%, l’attività degli associati delle tre associazioni di categoria Assifact, Assilea e Assofin è risultata pari a 365,4 miliardi di euro in termini di volume, segnando un aumento dell’11,9% rispetto al 2020 e incrementando la sua quota sul Pil del 20,6% (era il 19,8% nel 2020). La crescita è più marcata per il leasing (+25,6%), ma anche il credito alle famiglie (+13,4%) e il factoring (+10,0%) evidenziano incrementi a doppia cifra. I crediti in essere complessivi a fine 2021 si attestano a circa 503,3 miliardi di euro, e tornano così in territorio appena positivo (+0,4%), dopo il calo del 2020.

Il 67,8% dei flussi totali di credito proviene dagli operatori specializzati

Nel 2021 in ciascun settore si riscontra, tuttavia, un trend differente, che risulta in miglioramento per il factoring (+5,5%) e per il credito alle famiglie (+1.3%), mentre il leasing ha chiuso l’anno con una riduzione dell’8,3% dello stock. Nonostante il 67,8% dei flussi totali di credito provenga dagli operatori specializzati e il 32,2% dalle banche generaliste, il 59,8% del totale outstanding è detenuto dalle banche generaliste, quota sostanzialmente stabile rispetto all’anno precedente.

Nel 2021 finanziati l’8,1% degli investimenti delle imprese

“Il credito specializzato – si legge nell’analisi – conferma il suo ruolo di particolare importanza nell’ambito dell’economia italiana, cruciale anche per la ripresa del Paese, assicurando, attraverso i diversi comparti che lo compongono, strumenti flessibili a supporto delle esigenze di imprese e famiglie”.
La nuova produzione di credito specializzato nel 2021 rappresenta il 26,8% degli impieghi totali di banche e intermediari finanziari, quota significativa e sostanzialmente stabile rispetto all’anno precedente. Attraverso le forme di credito specializzato sono stati finanziati l’8,1% degli investimenti delle imprese e l’8,5% della spesa delle famiglie, quote entrambe in crescita rispetto all’anno precedente.

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Gen Z: tra hobby e amici meglio passare il tempo in compagnia

Gli adolescenti italiani sono i più ‘socievoli’ d’Europa. L’Italia infatti è il primo Paese europeo per percentuale di adolescenti che amano passare il tempo libero in compagnia dei propri amici, con 11 punti in più (67%) della media europea (56%). Forse perché gli studenti italiani hanno sofferto maggiormente per la mancanza di interazioni sociali durante la pandemia (70%), rispetto ai coetanei degli altri Paesi (60%), in particolare, le ragazze (74%) più dei ragazzi (68%), e gli studenti tra 16-18 anni (76%). È quanto emerge dall’indagine sull’istruzione condotta dalla piattaforma di e-learning GoStudent in collaborazione con Kantar Market Research.

Videogames, Netflix, YouTube o la TV?

Un Gen Z italiano su 2 ama trascorrere il proprio tempo libero anche giocando ai videogames (50%) e ascoltando musica (48%). E anche in questo caso, gli adolescenti italiani (79%) sono più appassionati di videogames rispetto ai coetanei stranieri (72%). Netflix, televisione e YouTube riscuotono invece meno successo tra gli adolescenti italiani rispetto ai ragazzi delle altre nazioni. In Italia, guardare video su YouTube (47%) e intrattenersi con Netflix o la televisione (45%) sono rispettivamente al quarto e al quinto posto della classifica delle attività predilette.

I giovani italiani sono i più sportivi 

All’Italia va anche il primato per numero di giovani che inseriscono lo sport tra gli hobby prediletti: il 45% dei Gen Z italiani trascorre il tempo libero facendo attività sportiva contro il 39% della media europea. I ragazzi (56%) sono inoltre più sportivi delle ragazze (33%), e gli adolescenti tra 16-18 anni più sportivi (47%) rispetto ai 10-12enni (45%) e i 13-15enni (43%). Ma l’Italia (34%) è sul podio anche per le attività all’aria aperta. Le attività outdoor sono più popolari tra i ragazzi (37%) che tra le ragazze (30%), e i pre-adolescenti di 10-12 anni sono quelli che più amano trascorrere il proprio tempo libero all’aria aperta (42%). Andare in bicicletta invece ha riscosso solo il 21% di preferenze in Italia, un dato comunque più alto rispetto al resto d’Europa (18%).

Social network? No grazie

Diversamente da quanto si possa pensare, riporta Adnkronos, passare il tempo sui social non è tra gli hobby prediletti della Gen Z, né in Italia né nel resto d’Europa. Con il 32% delle preferenze, i social network sono solo all’ottavo posto della classifica, un dato comunque più basso rispetto al resto d’Europa (36%). Inoltre, nonostante i ragazzi italiani che amano la lettura siano oltre il 28%, più rispetto ai coetanei europei (26%), leggere non sembra rientrare tra le attività predilette dei Gen Z nostrani: nella classifica degli hobby la lettura è solo in nona posizione. C’è poi un 10% che predilige dedicarsi ad attività artistiche, come dipingere o disegnare, mentre suonare uno strumento e ballare hanno riscosso rispettivamente il 10% e il 9% delle preferenze tra gli adolescenti italiani di ambo i sessi.

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Frodi creditizie: salgono i casi, ma calano gli importi medi frodati

Secondo gli ultimi dati registrati dall’Osservatorio sulle Frodi Creditizie e i furti di identità realizzato da CRIF-MisterCredit, nel 2021 i casi rilevati in Italia sono oltre 28.600, +31,1% rispetto al 2020: un aumento dovuto al continuo sviluppo degli acquisti online, che ha contribuito alla crescita dei casi perpetrati sui canali virtuali, dove le verifiche possono essere meno efficaci. Complessivamente, il danno stimato raggiunge 124,6 milioni di euro, stabile rispetto al 2020, poiché al numero maggiore di casi corrisponde una diminuzione dell’importo medio frodato (4.350 euro, -23,3%). Il numero di casi rilevati si è concentrato infatti su importi inferiori a 1.500 euro (+52%), a dimostrazione di come le organizzazioni criminali ormai non disdegnino le operazioni fraudolente su beni di importo più contenuto.

Aumentano beni e servizi “frodati”

Si registra, inoltre, un aumento dei casi di frode con importi compresi tra 5.000-10.000 euro (+45,7%), e quelli con valore superiore ai 10.000 euro (+13,9%). Risultano in calo solamente i casi di importo compreso tra 1.500-3.000 euro (-28,9%) e tra 3.000-5.000 euro (-10,1%). Tra le forme di credito in cui si registra il maggior numero di casi fraudolenti, i prestiti finalizzati all’acquisto di beni e servizi (auto, moto, articoli di arredamento, elettronica, elettrodomestici), che nonostante rappresentino la tipologia più colpita (34,4%), segnano una flessione del -30% circa. Al contrario, aumentano le frodi sui prestiti personali (+56,6%,  22,5%), mentre quelle sulle carte di credito crescono del + 59,7%.
Nel 2021 iniziano poi a emergere anche casi di frode sulla rateizzazione di acquisti e-commerce (le formule ‘Buy now, pay later’), anche se ricoprono una fetta residuale (0,2%).

Il profilo delle vittime

La maggioranza delle vittime è rappresentata da uomini (63,5%), e si conferma come fascia di età più colpita quella degli under 30 (+8,0%), mentre diminuiscono gli over 60 anni (-6,9%). La fascia compresa tra 41-50 anni segue i più giovani come segmento maggiormente colpito dal fenomeno (22,5%). Per quanto riguarda le regioni in cui sono state rilevate le frodi, la ripartizione dei casi mostra una maggiore incidenza in Campania (16,7%) Sicilia, Lombardia e Puglia, seguite da Lazio e Calabria.

Come vengono perpetrate e quando vengono scoperte?

Analizzando gli alert sui documenti identificativi emersi dalle interrogazioni fatte ai servizi prevenzione frodi gestiti da CRIF, e dai dati SCIPAFI delle banche, si conferma l’utilizzo preponderante della carta di identità come documento identificativo (80,7%), seguito dalla patente (17,7%). In particolare, l’1,9% dei documenti presentati in fase di identificazione anagrafica è una carta di identità contraffatta, oppure valida ma non riconducibile al soggetto. Per le patenti nel 4,1% dei casi si tratta di patenti inesistenti o non appartenenti al soggetto. In controtendenza rispetto al 2020, i tempi di scoperta delle frodi si stanno accorciando: il 42,4% dei casi viene scoperto entro i primi sei mesi (36,3% nel 2020), e al contempo, diminuiscono i casi scoperti dopo oltre 3 anni (-11,3%).

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Come si realizza il curriculum perfetto?

Quando si cerca una nuova occupazione, il primo passo da fare è senza dubbio redigere un curriculum non solo efficace, ma anche corretto e bello esteticamente, magari aiutandosi con siti professionali come cvmaker.it. Il cv, d’altronde, è il proprio biglietto da visita quando ci si candida per un posto di lavoro o ci si presenta alle aziende.  Proprio per tale motivo, si deve sfruttare un modello vincente. I datori di lavoro infatti individuano il possibile candidato ideale proprio dopo aver svolto una prima fase selettiva basata sulla lettura dei cv. Far risaltare il documento in oggetto quindi significa cercare di fare la differenza, rispetto agli altri candidati. Per riuscirci, è opportuno considerare una serie di elementi. Il primo è proprio il fatto di puntare su un modello professionale da compilare, in modo che non si rischierà di dimenticare di indicare aspetti importanti circa i propri dati o la propria esperienza e in più si eviterà di dilungarsi in spiegazioni troppo lunghe. L’ideale sarebbe essere brevi e concisi, schematici, inserendo prima le informazioni sui ruoli lavorativi ricoperti recentemente e poi quelli precedenti. Sarà quindi più corretto procedere seguendo un ordine cronologico inverso.

Menzionare anche le soft skills

In seconda battuta, vale la pena ricordare che nel cv non vanno indicate solo le hard skills, ovvero le abilità che sono state acquisite tramite il percorso formativo scolastico-universitario e/o postuniversitario o lavorativo, ma anche le soft skills. Queste ultime corrispondono a tutte quelle capacità che dipendono dalle caratteristiche personali e che la persona ha sviluppato con il passare degli anni, raggiungendo un certo livello di esperienza e maturità. Si tratta di competenze relazionali, come la leadership, ma anche il fatto di saper affrontare situazioni stressanti, il problem solving, il fatto di saper lavorare all’interno di un team, essere positivi, ma anche saper perseguire gli obiettivi che vengono prefissati, e così via. Tutti questi aspetti, se sono presenti nella personalità del candidato, dovrebbero essere indiati nel CV, per farlo risaltare. Oltre a questo però vi sono anche altri suggerimenti per cercare di superare la concorrenza e di stupire il recruiter.

La lettera di presentazione

Se poi si vuole cercare di avere ancora più possibilità circa il fatto di riuscire a far risaltare il proprio curriculum agli occhi del datore di lavoro, allora è possibile anche accompagnarlo con una buona lettera di presentazione, che non dovrà essere una spiegazione né una ripetizione di quello che si è specificato nel curriculum vitae, bensì un modo di presentarsi che riassuma le esperienze fondamentali e che spieghi perché si è scelto di candidarsi per quella posizione.