Sicurezza, i rischi del metaverso 

Nel 2021 Facebook Inc. ha abbandonato il proprio marchio “storico” in favore del nuovo nome Meta. Contestualmente, è stata creata una nuova piattaforma, il metaverso, un sistema di realtà virtuale in cui gli utenti creano i propri avatar personali e possono interagire con quelli degli altri. La piattaforma terrà traccia dei movimenti degli occhi, dell’andatura, della dilatazione della pupilla dell’utente e di molti altri dati, generando un avatar che si muove e agisce in modo naturale. Al contempo raccoglierà le informazioni fornite dall’utente. Ma oltre a una serie di ostacoli, come, ad esempio, produrre la potenza di calcolo necessaria a supportare un’ampia platea di utenti, Meta si trova di fronte a un problema che non ha ancora ben chiaro: come affrontare la sicurezza?

Una storia di scandali legati a privacy e fake news 

A quanto riferisce Acronis Meta ha pianificato investimenti per 50 milioni di euro in ricerche incentrate sul miglioramento della sicurezza e della privacy. Per farlo, ha affidato parte delle risorse a istituti terzi come la National University of Singapore, che le impiegherà per indagare sull’utilizzo dei dati. La storia di Facebook però è gravata da infamie quasi inevitabili, e altrettanto prevedibili, in una piattaforma social che accoglie oltre 2,9 miliardi di utenti. Una storia di scandali legati alle fake news, ai presunti tentativi di influenzare tornate elettorali e alle preoccupazioni inerenti sicurezza e privacy. Come si tradurranno questi aspetti nel metaverso virtuale, dove le interazioni saranno molto più personali?

Una piattaforma troppo semplice da usare

L’Italia è un bersaglio particolarmente vulnerabile ai cyberattacchi, e sempre secondo Acronis, l’economia della criminalità informatica ha raggiunto un giro d’affari di circa 2.000 miliardi di dollari. È il segmento a più rapida crescita nell’intera economia criminale, che ammonta complessivamente a 5.000-10.000 miliardi di dollari. Una piattaforma semplice da usare come il metaverso, che attrae principalmente una vasta platea di giovani giocatori, mette le nuove generazioni a rischio.
Ma anche senza i cyber criminali, il metaverso implica altri problemi, ad esempio, esige una capacità di calcolo pari a 1.000 volte quella attualmente utilizzata per supportare il bacino di utenti.
Pur mettendo in atto le idonee misure di sicurezza, i più piccoli corrono comunque il rischio di venire adescati, un problema a cui deve far fronte qualsiasi piattaforma social che attragga minori.

I problemi del gioco virtuale

All’interno dei vari giochi del metaverso prendono poi forma economie virtuali diverse, capaci di mettere a rischio chi ancora non ha acquisito nozioni di finanza e chi è vulnerabile alla dipendenza al gioco d’azzardo. Con tutta probabilità, il metaverso non introdurrà problemi nuovi sulla scena del gioco virtuale, tuttavia non significa che non si debba indagare sulle potenziali problematiche.
Con 3 miliardi di fruitori, il gaming non è certo destinato a svanire, ed è tempo che il mondo si occupi seriamente delle minacce che incombono sulla sicurezza, soprattutto dei più giovani. Non si può vendere la privacy a poco: vale molto più di quel che possiamo immaginare.

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Cosa sanno le famiglie italiane del metaverso?

Per metaverso si intende una realtà virtuale in cui è possibile connettersi attraverso un ologramma/avatar di sé per interagire con gli altri. Le esperienze fatte in questa realtà virtuale possono essere molto realistiche.

Se ne parla tanto, ma i giovani e i loro genitori sanno davvero di cosa si tratta? A questa domanda risponde la ricerca BVA Doxa Kids per Telefono Azzurro, condotta fra un campione di giovani tra i 12 e i 18 anni e i loro genitori. E dalle risposte la conoscenza della nuova realtà sembrerebbe scarsa. Alla domanda ‘sai cos’è il metaverso?’, il 57% dei giovani risponde no, e solo il 10% di sapere di cosa si tratta, mentre solo il 17% dei genitori dichiara di sapere cos’è, e il 46% di non sa di cosa si tratta.

Gioco e svago gli ambiti di utilità

Inoltre, più della metà dei giovani (52%) ritiene che il metaverso non avrà un impatto significativo sulla vita delle persone, il 25% ritiene che peggiorerà la vita, il 19% che la migliorerà. Solo per il 15% dei genitori il metaverso migliorerà la vita, per il 42% non avrà alcun impatto, mentre per il 43% la peggiorerà. Al totale del campione giovani è stato poi chiesto in quali aree ritengono che il metaverso potrà essere più utile. E le risposte citate sono state, nell’ordine: gioco (23%), svago (13%), interazioni amicali (12%), apprendimento e studio (11%), lavoro (8%), salute (7%), relazioni sentimentali (3%). Per i genitori, al primo posto c’è lo svago (18%), seguito dal gioco (16%), apprendimento e studio (13%), interazioni amicali (9%), lavoro (9%), salute (7%), relazioni sentimentali (3%).
Interessante la percentuale di chi ritiene che il metaverso non serva a nulla: 23% delle risposte (giovani) e 26% (genitori).

Secondo i giovani, ulteriori opportunità offerte dal metaverso sono date da poter vivere tante esperienze diverse (32%), garantire socialità e incontri nonostante le persone si trovino in aree geografiche molto lontane, (23%), dar forma a qualcosa che nella realtà ancora non esiste (22%), sentirsi meno isolati (20%), più uguaglianza e pari opportunità indipendentemente dal livello economico (17%), espressione senza limiti delle proprie inclinazioni (13%). Nello stesso ordine e con percentuali simili le risposte dei genitori. Un 25% dei giovani e dei genitori, però, ritiene che non vi siano opportunità legate al metaverso.

Quali sono le percezioni dei rischi? 

Le risposte dei giovani in merito ai rischi sono: trascurare il mondo reale (40%), rifugiarsi nel metaverso per scappare alla realtà (36%), trascorrere più tempo nel metaverso che nella realtà (33%), vivere una vita più desiderabile rispetto a quella reale (33%), perdere di vista gli obiettivi di vita (28%), venire in contatto con sconosciuti (25%), condividere molte informazioni personali (20%), non garantire pari opportunità (10%).  Le risposte dei genitori evidenziano lo stesso ranking con percentuali analoghe a quelle dei figli. C’è poi un 9% di giovani e un 3% di genitori che ritiene il metaverso privo di rischi.

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L’80% degli italiani vorrebbe eliminare almeno un post pubblicato sui social

La maggior parte degli utenti non è sicura di avere il controllo della propria presenza digitale, o di come potrebbe gestire la propria presenza online.
Molti infatti sono erroneamente convinti che gli account e i post dei social possano essere cancellati in modo permanente in qualsiasi momento.
Secondo un sondaggio condotto a livello europeo da Kaspersky, la percezione della privacy online e della propria impronta digitale differisce in base al paese e alla generazione di appartenenza. La Generazione Z in Italia, ad esempio, si è dimostrata poco attenta al controllo dei propri dati online. Infatti l’83% dichiara che vorrebbe poter cancellare in maniera permanente un post pubblicato in passato

Attenzione a quali contenuti mettere “like”

I like posti sui social media possono avere un effetto significativo sulla percezione che gli altri hanno di noi. Gli utenti di tutta Europa concordano sul fatto che le azioni online possano avere conseguenze, sostenendo anche che alcuni argomenti siano più rischiosi e provocatori di altri, e possano avere un impatto sulla reputazione delle persone, nonché sulle loro prospettive di lavoro. Secondo il 41% degli italiani i post offensivi nei confronti delle persone disabili e quelli che si schierano contro la vaccinazione anti-Covid 19 sono potenzialmente i più dannosi per le prospettive di lavoro o per le relazioni, seguiti dall’utilizzo di un linguaggio transfobico (37%) e le posizioni negazioniste sui cambiamenti climatici (31%).

Cosa raccontano di noi i profili social?

Il 42% degli intervistati afferma di conoscere qualcuno il cui lavoro o la carriera è stata influenzata negativamente da un contenuto postato sui social. Ma nonostante questo, quasi un terzo non ha modificato o cancellato i vecchi post dai propri account. La percezione di sé che nasce dalla propria presenza online costituisce un problema per molte persone. Infatti, il 38% degli utenti afferma che il proprio profilo social non lo rappresenti in modo autentico, e secondo il 51% la cronologia di navigazione potrebbe fornire un’idea sbagliata sul loro conto. Un dato preoccupante riguarda gli utenti dai 16 ai 21 anni: l’81% crede di avere il controllo totale sui contenuti condivisi online e di poter eliminare definitivamente alcune tracce lasciate nel web.

Cosa accade ai dati online dopo la morte

Lo studio mostra un divario tra la realtà e la percezione del controllo sulla propria presenza online.
L’indagine di Kaspersky ha individuato una preoccupante mancanza di consapevolezza su quanto accade ai profili social e la cronologia di navigazione online dopo la morte dell’utente. In Italia il 32% degli utenti non ha mai pensato a cosa accadrà ai propri dati online dopo la loro morte, e il 19% presume che i propri account social vengano automaticamente eliminati dopo il decesso. Il 44% degli italiani vorrebbe però poter accedere al profilo social di un genitore defunto se lasciasse i propri dati di accesso nel testamento. Tuttavia il 38% dichiara che si sentirebbe a disagio a lasciare in eredità i dati di accesso ai propri account.

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L’1,9% delle aziende italiane viene colpito da ransomware ogni settimana

A livello globale nel 2021 in media un’azienda su 61 viene colpita una volta a settimana da attacchi ransomware, con un incremento del 9% rispetto al 2020, e gli attacchi informatici verso le aziende sono cresciuti del 40% in un anno. In Italia vengono colpite da ransomware ogni settimana l’1,9% delle organizzazioni. Secondo il rapporto diffuso da Check Point Research, divisione Threat Intelligence di Check Point Software Technologies, se l’Africa è l’area maggiormente presa di mira l’Europa e il Nord America sono alle prese con il più grande aumento del numero di attacchi tra il 2020 e il 2021. In generale, i settori che hanno visto il maggior numero di attacchi informatici sono l’istruzione e la ricerca, la PA e l’esercito, e la sanità, riporta Ansa.

La percentuale di cyberattacchi verso le organizzazioni italiane è del 36%

Nel 2021 la percentuale di cyberattacchi verso le organizzazioni italiane è del 36%, e rispetto al 2020 le aziende italiane subiscono mediamente 903 attacchi informatici a settimana. A livello globale, dopo una piccola diminuzione nelle settimane precedenti, da marzo 2020 si è verificato un significativo aumento nel numero medio settimanale degli attacchi registrati dalle aziende. A settembre 2021, con oltre 870 attacchi, il numero medio di attacchi settimanali registrato da ogni azienda ha raggiunto il picco, ed è più del doppio rispetto a marzo 2020. Nel 2021 le aziende che hanno registrato il più alto volume di attacchi sono in Africa, con una media di 1615 attacchi alla settimana per azienda, e un incremento del 15% rispetto al 2020.

Istruzione, ricerca, PA, esercito e sanità i settori più colpiti

I settori che vedono il maggior numero di attacchi informatici sono l’istruzione/ricerca, con una media di 1468 attacchi alla settimana per organizzazione, e un incremento del 60% rispetto al 2020, la pubblica amministrazione/esercito, con 1802 e un incremento del 40%, e la sanità con 752 attacchi e un incremento del 55%. Il settore ISP/MSP quest’anno è quello più colpito dal ransomware. Il numero medio settimanale di organizzazioni colpite in questo settore nel 2021 è una su 36, con un incremento del 32% rispetto al 2020. La sanità è al secondo posto, con un’organizzazione colpita su 44 e un incremento del 39%, seguita dai vendor di software, con un’organizzazione su 52, e un incremento del 21% sul 2020.

Botnet, banking malware, cryptominer i malware più diffusi

La regione APAC vede il più elevato volume di tentativi di attacchi ransomware, riporta Data Manager Online, con un’organizzazione su 34 colpita ogni settimana (-10% rispetto al 2020). Il tipo di malware che ha colpito maggiormente le aziende è la botnet, con una media dell’8% delle organizzazioni colpite settimanalmente, e un decremento del 9% rispetto allo scorso anno. Al secondo posto si piazza il banking malware (4,6% delle organizzazioni e incremento del 26%) e i cryptominer (4,2% delle organizzazioni e incremento del 22%).

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Internet è un diritto fondamentale: deve essere garantito a tutti

Sono 46 milioni gli italiani dotati di una connessione a internet, e l’emergenza sanitaria ha sancito l’accesso a internet nel novero dei diritti fondamentali. L’86,3% degli italiani è infatti convinto che l’accesso a internet deve essere garantito a tutti, ovunque e comunque. I numeri dimostrano infatti che il web ormai è una risorsa essenziale per dare continuità alle attività lavorative, lo studio e le relazioni sociali, soprattutto durante la pandemia. Lo evidenzia il Rapporto Il valore della connettività nell’Italia del dopo Covid-19, realizzato dal Censis in collaborazione con WindTre.

Servono investimenti infrastrutturali, ma i margini sono ridotti

Per l’88,9% degli italiani che ne erano dotati, la propria connessione su rete fissa ha funzionato bene durante l’emergenza sanitaria. Protagonisti essenziali durante la pandemia e nel nuovo contesto post Covid-19, gli operatori Tlc da tempo però operano con margini ridotti a causa di tariffe che risentono della pressione concorrenziale e investimenti infrastrutturali crescenti. Lo sforzo competitivo degli operatori è compreso solo in parte dalla popolazione: infatti, per il 44,7% degli italiani in questi anni le tariffe non si sono ridotte, mentre il 41% pensa il contrario e il 14,3% è incerto. Come uscire dal cortocircuito? Per l’83,6% degli italiani una possibile exit strategy consiste nel far pagare una fee ai giganti del web.

Tredici milioni di italiani vogliono potenziare la connessione

Come viene utilizzato internet? Il 91,5% degli italiani tiene contatti online con familiari, amici e conoscenti, il 78,9% usa internet per questioni legate alla salute, e molti altri per pagare bollette, multe, tasse, per le attività del tempo libero, fare acquisti online, per lavoro o per attività didattiche. Insomma, occorre attrezzarsi al meglio. Tredici milioni di italiani nei prossimi mesi vogliono potenziare la propria connessione su rete fissa, 3 milioni vogliono attivarla per la prima volta, e il 60,4% è favorevole a rendere il 5G subito operativo ovunque.
Solo il 14,4% si dichiara contrario, ritenendolo dannoso per la salute. Scarso è quindi il credito delle fake news per cui il 5G sarebbe nocivo per la salute: l’80% infatti lo ritiene sicuro.

Ma il web non è privo di rischi

Consapevoli delle sue potenzialità, allo stesso tempo per gli italiani il web non è un paradiso privo di rischi, tra paura delle frodi durante le operazioni bancarie o gli acquisti online, del libero accesso alla rete da parte dei minori o la possibile dipendenza dai social network, oppure è spaventato dagli hater. Ma quando si sceglie la tariffa, oltre al prezzo cosa considerano gli italiani? Innanzitutto velocità di connessione (52,6%), poi affidabilità e assenza di interruzioni (47,6%), un servizio di assistenza rapido e raggiungibile (36,1%), la presenza di servizi di sicurezza informatica (31,1%), la protezione dei minori (19,7%), e l’impegno dell’operatore per la tutela dell’ambiente (10,6%). Si tratta di un insieme di variabili ritenute imprescindibili, e il 44,3% degli italiani è pronto a pagare qualcosa in più per averle.

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Il vademecum contro le truffe online

Crisi economica e digitalizzazione fanno aumentare la criminalità informatica, e l’Italia è tra i primi 10 Paesi per numero di utenti attaccati da trojan per mobile banking. In seguito al lockdown il 53,6% degli italiani dichiara di aver aumentato l’abitudine di acquistare beni online, prediligendo l’uso della carta di credito o formule miste di pagamento. E se il 6,3% predilige l’acquisto online anche per evitare di maneggiare i soldi per paura del contagio da Covid-19 rimane una percentuale di utenti che preferisce usare ancora il denaro contante (40%) per timore di essere truffati online (23%). Timore non del tutto infondato, come confermato da un’indagine di Kaspersky dalla quale emerge come nel primo trimestre del 2020 siano aumentate le frodi online, soprattutto quelle che prendono di mira i dispositivi mobili.

I siti web possono rivelarsi strumenti di copertura

In un momento storico dove la digitalizzazione ha un ruolo chiave per sostenere la vita quotidiana delle persone e la stessa economia poche e semplici regole bastano a evitare spiacevoli incidenti, o addirittura rischiare di indebitarsi.

Kaspersky e Kruk hanno unito le forze per fornire agli utenti una guida per evitare trappole e raggiri online. I siti web infatti possono rivelarsi strumenti di copertura per i cybercriminali che hanno lo scopo di raccogliere i dati degli utenti. Per evitare che le informazioni personali finiscano nelle mani sbagliate, è importante non inserire i dati della propria carta di credito o non fare acquisti online se il sito sembra sospetto o non è conosciuto.

Se è troppo bello per essere vero è una truffa

Attenzione anche a offerte e finanziamenti troppo belli per essere veri: molte offerte di questo tipo possono presentare altrettante spiacevoli sorprese, offrendo prestiti che non hanno niente di vantaggioso per gli utenti. Un consiglio utile per non incorrere in spiacevoli sorprese è quello di comparare offerte simili tra loro in modo da confrontarle e individuare il tasso più conveniente. Per essere protetti dalle truffe di tipo finanziario bisogna considerare che una soluzione di sicurezza installata sui dispositivi è in grado di creare un ambiente protetto per le transazioni finanziarie. E, riporta Italpress, per tenere al sicuro le proprie credenziali è importante mantenere lo stesso livello di protezione su tutti i device in uso.

Attenzione a condividere i profili social

Esiste un punteggio di credito social dettato da ciò che decidiamo di condividere con le aziende sui nostri profili, che può determinare o meno il buon esito di una richiesta di un prestito o finanziamento. Gli italiani sembrano diffidare delle aziende che chiedono di condividere i profili social, e fanno bene, visto che esistono già organi ufficiali predisposti per determinare l’affidabilità o meno di un buon pagatore. Il registro del CRIF, l’esperto globale dei sistemi di informazioni creditizie, ad esempio, è un registro ufficiale che monitora in 50 Paesi eventuali pagatori considerati non affidabili.

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Buoni propositi digitali, nel 2020 meno tempo sullo schermo e più sicurezza

Nel 2020 oltre il 40% degli utenti ha intenzione di cambiare il proprio stile di vita digitale mettendo in pratica alcuni buoni propositi. Soprattutto quello di ridurre il tempo trascorso in compagnia dei propri dispositivi tecnologici. Ma quello appena concluso è stato un anno molto difficile per i dati personali degli utenti. Secondo un’indagine di Kaspersky rispetto al 2018, infatti, il furto di password è aumentato del 60%, così come il numero di furti legati alle credenziali di accesso. In particolare quelli per accedere ai siti web per adulti. aumentato di oltre il 100%. D’altronde, oltre la metà degli utenti di internet (56%) ritiene impossibile che nel mondo digitale moderno si possa parlare di privacy online. E un utente su tre (32,3%) dichiara di non sapere come proteggere la propria privacy in rete.

Proteggere la privacy e ridurre i livelli di stress informatico

Non sorprende quindi che il nuovo sondaggio condotto da Kaspersky abbia dimostrato che il 42,3% degli utenti metterà in pratica alcuni buoni propositi digitali per il 2020. Come quello di proteggere maggiormente la propria privacy digitale. Quest’anno gli utenti punteranno a mantenere standard più elevati di comportamento online, per garantire la propria salute e la privacy in rete. E lo faranno adottando, per la prima volta, alcune precauzioni, come usare password più sicure e tentare di ridurre i livelli di stress informatico.

Uno stile di vita più cyber-savvy sarà uno dei trend del nuovo anno

Sono molte le aree in cui gli utenti desiderano apportare dei miglioramenti. Per il 29,1% degli intervistati da Karpesky l’obiettivo per il nuovo anno sarà ridurre il tempo trascorso davanti a uno schermo, mentre per il 18,3% sarà quello di smettere di addormentarsi con lo smartphone accanto al cuscino. Questi dati dimostrano come il desiderio di digital detox sia in continuo aumento. Un quarto degli intervistati poi ha scelto di eseguire più backup e ripulire regolarmente il proprio desktop, mentre l’11,2% desidera cancellare tutti gli amici di Facebook mai incontrati di persona. Insomma, pare che uno stile di vita più cyber-savvy sarà uno dei trend del nuovo anno.

Imparare a tenere al sicuro le informazioni personali

Per aiutare gli utenti a rendere il 2020 l’anno più sicuro online, Kaspersky invita perciò a seguire alcuni semplici passi per tenere al sicuro le informazioni digitali personali. Innanzitutto applicare le patch e un software di sicurezza internet per proteggere i dispositivi utilizzati per le transazioni online. Poi, utilizzare una password unica e complessa per ciascun account online e controllare attentamente le impostazioni per la privacy e la sicurezza, limitando ciò che può essere visto e condiviso. Ricordarsi inoltre di disattivare le applicazioni e le funzioni quando non vengono utilizzate, disattivare i servizi di tracking e localizzazione, e cancellare regolarmente i cookie. Last but not least, verificare l’e-mail con servizi come Have I Been Pwned per controllare che gli account non siano stati compromessi.

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Anche il Canton Ticino vuole la sua criptovaluta

Il Canton Ticino è in pressing sul Consiglio di Stato per creare il TicinoCoin, la prima moneta digitale con un rapporto uno a uno sul franco svizzero. In pratica una “stable coin” a zero rischi, niente a che vedere con il Bitcoin, soggetto alle forti fluttuazioni delle sue quotazioni.

D’altronde in Svizzera il mondo delle monete alternative è molto vivace. Tra Zugo e Zurigo  è nato l’Ethereum, la seconda criptovaluta più conosciuta dopo il Bitcoin, e nel Cantone di Vaud, quello di Losanna, è diffuso il Leman, una moneta complementare che ha iniziato a utilizzare la tecnologia Blockchain.

Dopo Zurigo, una seconda criptovalley svizzera

Nel 2014 erano già stati ideati e testati i primi Tic, i “bit” svizzeri, raccogliendo negli anni le adesioni della politica e della società locale. Ora un gruppo di stakeholders locali ha chiesto il sostegno del Consiglio di Stato per realizzare una moneta locale complementare basata sulla tecnologia Blockchain. “I segnali di apertura ci sono tutti, siamo ottimisti sul fatto che il Consiglio possa dare il suo patrocinio al progetto”, spiega all’Adnkronos Paolo Pamini, parlamentare del Cantone.

L’idea è quella di fare del Canton Ticino una seconda criptovalley svizzera, per rilanciare l’economia della regione e creare nuovi posti di lavoro. La scommessa è creare una moneta complementare al franco, e al contempo favorire la crescita di un ecosistema digitale.

La BancaStato del Cantone potrebbe emettere la nuova moneta

“Un mese fa – racconta Pamini – io e altri deputati di tutti i partiti abbiamo chiesto al Governo di accettare i pagamenti in Bitcoin per alcune tasse e altri servizi pubblici e la risposta è stata positiva”. Tra l’altro, il Cantone, come gli altri 26 svizzeri, è uno Stato a tutti gli effetti, e ha una banca di sua proprietà, la BancaStato del Cantone. Nell’ipotesi più avanzata “l’istituto cantonale bancario potrebbe non solo fungere da banca depositaria, ma diventare l’emittente stesso di TicinoCoin e sbrigare le pratiche di accettazione dei clienti nell’emissione di nuovi Token”.

“A livello globale c’è molta richiesta per questo genere di stable coin”

Sarebbe la prima volta che uno Stato sovrano, attraverso il suo istituto centrale, emetta una criptovaluta con un controvalore fisso e garantito in una delle principali valute nazionali, il franco svizzero. E poiché il TicinoCoin sarebbe negoziato sugli exchanger internazionali di criptovaluta, il Cantone offrirebbe la possibilità di disporre di una criptovaluta equivalente al franco svizzero.

“A livello globale c’è molta richiesta per questo genere di stable coin, che migliorano la liquidità dei mercati di criptovalute – continua Pamini -. Per questo motivo, è lecito pensare che BancaStato raccoglierebbe sottoscrizioni nell’ordine di svariate decine di milioni di franchi svizzeri”.

Non è escluso che un boom del fintech e delle tecnologie Blockchain nell’area possa avere riflessi anche nel Nord Italia, dove è già alta la concentrazione di imprese innovative rispetto al resto del Paese.

 

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Elettronica di consumo, un mercato globale in continua ascesa

Il mercato dell’elettronica di consumo continua a crescere a livello globale. Il 2018 si è chiuso con un incremento delle vendite del 6%, generando un fatturato di circa 138 miliardi di euro. Il trend è stato positivo in tutte regioni del mondo, influenzato da alcuni macro-trend come ad esempio la preferenza dei consumatori sempre più spiccata nei confronti dei dispositivi premium. Oggi infatti i consumatori preferiscono possedere meno dispositivi, ma di qualità superiore e più intuitivi. I produttori possono quindi trarre vantaggio da questo trend, “puntando su prodotti di alta qualità e con caratteristiche premium”, spiega Markus Kick, esperto GfK di Elettronica di consumo. Ancora ampio poi risulta il potenziale di crescita dei dispositivi Smart e degli Assistenti Vocali integrati. E per il 2019 l’istituto di ricerca Gfk prevede una crescita generale del settore di circa il 4%.

Il mercato TV è trainato dai dispositivi di fascia alta e OLED

Con un volume di vendite di oltre 100 miliardi di euro nel 2018, il mercato degli apparecchi televisivi ha rappresentato circa tre quarti del fatturato globale dell’elettronica di consumo. Le vendite sono cresciute del 5% su base annua, grazie soprattutto all’incremento della domanda di dispositivi di fascia alta, con uno schermo grande almeno 50 pollici. Nel 2018, oltre la metà dei ricavi è stato generato da questo segmento premium. Anche gli schermi con tecnologia OLED stanno diventando sempre più popolari, con tassi di crescita superiori al 100%. E con un numero crescente di produttori che si affaccia su questo mercato iniziano a calare anche i prezzi.

Il Bluetooth e la crescita dell’Audio

Il fatturato globale del settore cuffie e auricolari è aumentato di quasi il 40% nel 2018, raggiungendo quota 14 miliardi di euro. Più della metà del valore è stato generato dai dispositivi con tecnologia Bluetooth: le cuffie wireless composte da due auricolari separati sono il modello più richiesto in assoluto, e nel 2018 hanno generato una quota di fatturato superiore alle cuffie con cancellazione attiva del rumore.

Gli altoparlanti portatili con tecnologia Bluetooth invece sono cresciuti del 15%, e anche in questo segmento vincono i modelli premium: i dispositivi con un prezzo superiore ai 150 euro valgono oggi poco meno di un terzo del fatturato totale.

I sistemi audio Smart e Multiroom diventeranno lo standard

Le vendite di dispositivi Multiroom, che consentono di riprodurre brani diversi in stanze diverse sono rallentate leggermente nel corso 2018. In controtendenza, risultano in crescita tutti i modelli Smart, che consentono di ascoltare musica in streaming. Il trend è positivo anche per i dispositivi Smart con assistenti vocali incorporati, che si candidano a diventare nel tempo l’hub per il controllo di tutti gli apparecchi smart presenti in casa.

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Google: traduzioni migliori con l’AI. Anche offline

Dopo Microsoft, che recentemente ha aggiunto la capacità di usare i sistemi di AI alla sua app Translator anche offline, ora anche Translate, la app di Google per le traduzioni, ha rilasciato un aggiornamento per dispositivi mobili che migliorerà le traduzioni anche quando l’utente si trovi senza una connessione dati. Con supporto a 59 lingue, incluso l’italiano.

“Siamo in una primavera dell’intelligenza artificiale”, diceva due anni fa John Giannandrea, allora a capo di questo settore di ricerca a Google. Negli ultimi anni infatti sono cresciuti gli strumenti che fanno uso di sistemi di AI per tradurre, ma soprattutto di una sua branca specifica, nota come machine learning, che sviluppa algoritmi in grado di apprendere e migliorare dai dati.

Dalla tecnologia PBMT all’AI

Quando 12 anni fa Google lanciò Translate, disponibile sia su sito che via app, utilizzava una tecnologia nota come PBMT, phrase-based machine translation, la quale spezzava una frase in parole e frasi che venivano tradotte in modo indipendente. Questo dopo aver cercato schemi e pattern statistici su miliardi di combinazioni tratte da traduzioni umane. I risultati non erano sempre egregi, soprattutto se si contava solo su quello strumento per capire esattamente il senso di una frase.

Ma circa tre anni fa le traduzioni sono state rinvigorite da una nuova tecnologia, in concomitanza con la rinascita delle ricerche in intelligenza artificiale, riporta Agi.

La Neural Machine Translation si basa sul deep learning

Da allora Google Traslate ha fatto un balzo in avanti usando una tecnologia, la Neural Machine Translation, NMT, basata sul deep learning (approfondimento profondo, a sua volta una branca del più noto machine learning), alla base di miglioramenti anche in molti altri settori, come il riconoscimento di immagini.

Il deep learning combina reti neurali artificiali, ovvero strati di unità computazionali, che imitano il funzionamento dei neuroni, con grandi quantità di dati. Il risultato è che nel caso delle traduzioni sono le frasi intere a essere considerate e tradotte, invece delle loro singole unità.

Una traduzione più verosimile e “umana”

Per avere una traduzione migliore però, era necessario restare sempre connessi al cloud, ai server dell’azienda. E magari proprio quando più si aveva bisogno della app, non era possibile l’accesso a internet. Se quindi finora la performance di questo genere di servizio dipendeva dalla possibilità di essere connessi alla Rete, ora Google ha trasferito la NMT anche sulla versione offline delle app. Rispetto alla tecnologia usata in precedenza nelle versioni offline, i sistemi neurali usano un contesto più ampio per determinare la traduzione più rilevante, “che poi viene riaggiustata e riorganizzata per suonare più come il parlato di una persona che una grammatica – spiega la produce manager Julie Cattieau sul blog di Google -. Tutto ciò rende i paragrafi e gli articoli tradotti più scorrevoli e facili da leggere”.

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